Thursday, March 28, 2024
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A 30 anni dal pool di “mani pulite” finisce nel tritacarne della Giustizia Piercamillo Davigo

Il magistrato rinviato a giudizio con l’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio sulla Loggia Ungheria


dalla Redazione Romana del Quotidiano l’Italiano

ROMA – L’allora pm Piercamillo Davigo con un testacoda inimmaginabile persino nei sogni dei suoi indagati dell’epoca, a trent’anni dal “pool di mani pulite” festeggia la ricorrenza come rinviato a giudizio. Si Lui, proprio lui, mandato a processo dalla giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brescia Federica Brugnara per l’ipotesi di reato di «rivelazione di segreto d’ufficio».

Secondo l’accusa avrebbe fatto circolare nella primavera 2020 (all’interno e al di fuori al Consiglio Superiore della Magistratura di cui fu membro sino all’ottobre 2020) i verbali sulla presunta associazione segreta «loggia Ungheria» resi a Milano dall’ex avvocato esterno Eni Piero Amara, e consegnati a Davigo dal pm milanese Paolo Storari che lamentava lo scarso dinamismo del procuratore Francesco Greco e della sua vice Laura Pedio nell’indagare per distinguere in fretta tra verità e calunnie di Amara.

Storari, che a differenza di Davigo ha optato per un rito abbreviato avrà il verdetto nella prossima udienza, dopo che ieri il difensore Paolo Della Sala ha replicato in arringa alla richiesta della Procura di condannarlo seppure al minimo della pena, 6 mesi.

La giudice ha dunque accolto la tesi giuridica ipotizzata dal procuratore bresciano Francesco Prete e dai pm Donato Greco e Francesco Milanesi che la consegna nell’aprile 2020 da Storari a Davigo delle copie word dei verbali resi tra dicembre 2019 e gennaio 2020 da Amara non potesse essere scriminata né dal fatto che fosse stato Davigo a rassicurare Storari sulla liceità della consegna e sulla non opponibilità del segreto investigativo a un consigliere Csm; né dal movente di Storari di lamentare i contrasti con i vertici della Procura sui ritardi (a suo avviso) nell’avviare concrete indagini. Tra le successive rivelazioni di segreto imputategli, Davigo va dunque a giudizio per quella che avrebbe posto in essere al vicepresidente del Csm David Ermini, che al pari di Salvi e Curzio compone il Comitato di Presidenza del Csm: Ermini ricevette da Davigo anche copia dei verbali, che si affrettò poi a distruggere ritenendoli irricevibili, pur ponendo al corrente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel corso del suo primo mandato.

Pier Camillo Davigo, trent’anni dopo tangentopoli si ritrova nel ruolo di “rinviato a giudizio”

Al rinviato a giudizio Piercamillo Davigo sono poi addebitate anche quelle ai consiglieri Csm Giuseppe Marra, Giuseppe Cascini, Ilaria Pepe, Fulvio Gigliotti e Stefano Cavanna; alle sue due segretarie al Csm Marcella Contraffatto e Giulia Befera; e al presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, il senatore (allora nel Movimento 5 Stelle) Nicola Morra, in un colloquio privato, fuori (per i pm) da qualunque regola, e solo per motivare i contrasti insorti con il consigliere Csm Sebastiano Ardita. Il quale si è costituito (con l’avvocato Fabio Repici) parte civile nel procedimento contro Davigo, appunto lamentando che la disponibilità dei verbali segreti di Amara sia stata utilizzata da Davigo per screditare al Csm la figura dell’ex collega di Csm ed ex compagno di corrente, con il quale aveva anche persino firmato il libro dal titolo “Giustizialisti” .

Al processo Davigo si difenderà sostenendo che a suo avviso le circolari Csm sono state rispettate dal suo modo di informare i vertici di quanto stava (non) accadendo alla procura di Milano; e comunque, ha ribadito «se io ho commesso il delitto di rivelazione di segreto d’ufficio, allora loro (cioè i vertici del Csm e della Procura generale di Cassazione, ndr) avrebbero dovuto denunciarmi», visto che «l’omessa denuncia di reato da parte di un pubblico ufficiale è reato», e dunque «dovrebbero essere incriminati per omissione d’atti d’ufficio», ma «a nessuno di loro venne in mente di doverlo fare perché nessuno di loro pensò che il mio fosse un reato». E a proposito della distruzione dei verbali raccontata dal vicepresidente Csm Ermini: «Bravo… complimenti… Ermini evidentemente non è precisamente un cuor di leone: se io avessi commesso un reato, quella era la prova del reato, dovevi trasmetterla all’autorità giudiziaria, se no è favoreggiamento personale».

La decisione è pervenuta clamorosamente, proprio nel giorno del trentesimo anniversario dell’avvio dell’inchiesta “mani pulite”(1992) dopo l’archiviazione dell’indagine sull’allora procuratore milanese Francesco Greco per l’ipotesi di omissione d’atti d’ufficio nel trattare il fascicolo sulla loggia Ungheria (trasmesso un anno fa per competenza territoriale a Perugia; e prima che sempre la Procura di Brescia decida la sorte del procuratore aggiunto milanese Fabio De Pasquale e del pm Sergio Spadaro, entrambi indagati per «rifiuto d’atti d’ufficio» nell’ipotesi che abbiano non informato il Tribunale del processo Eni-Nigeria di alcuni elementi potenzialmente favorevoli alle difese e nell’inchiesta sui presunti depistaggi giudiziari Eni da Pedio, anch’essa finita nel ruolo di indagata per omissione d’atti d’ufficio nell’ipotesi.

Gherardo Colombo, Antonio Di Pietro e Piercamillo Davigo, trent0anni fa nel “pool di mani pulite”

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