A Catanzaro: “Eco dell’invisibile. I ritratti dell’oppressione”
di Aristide Anfosso dalla Redazione Catanzarese del Quotidiano l’Italiano “Eco dell’invisibile. I ritratti dell’oppressione”.“Una collettiva di opere di artisti italiani…
di Aristide Anfosso dalla Redazione Catanzarese del Quotidiano l’Italiano
“Eco dell’invisibile. I ritratti dell’oppressione”.
“Una collettiva di opere di artisti italiani e stranieri – ci dice Eva Fruci, curatrice dell’evento- che ha come progetto obiettivo la denuncia della precarietà del lavoro e del disagio mentale che ne consegue”.
Ex Stac – orario di apertura: 17 – 20.30 fino al 3 Ottobre. Intanto possiamo annunciare che nel n° 28 della prestigiosa rivista “i Catanzaresi” – che uscirà nel mese di dicembre c.a., l’evento troverà ospitalità con un grande servizio ricco di immagini e di riferimento a tutti i protagonisti
A margine dell’evento abbiamo ricevuto, dalla curatrice della mostra la nota che pubblichiamo integralmente:: “L’Arte come strumento di liberazione che diventa prassi politica e che va oltre la mera trasmissione di emozioni e che serve ad incoraggiare la consapevolezza critica e la partecipazione attiva nella lotta per la liberazione sociale.
Di questo e di tanto altro parla la mostra “Eco dell’Invisibile – I ritratti dell’oppressione”, curata da Eva Fruci e voluta dalla Federazione Calabrese del Fronte Comunista e che nasce dalla volontà di dare voce a chi non ne ha.
Attraverso le opere esposte emergono da un lato il senso di privazione e di oppressione dei lavoratori, figli dell’alienante solitudine prodotta dalla società in cui viviamo, dall’altro l’uomo che, nel timore di scomparire schiacciato dal peso del dolore e della sofferenza, cerca redenzione in un’indagine profonda nella memoria personale e collettiva.
Da questa ricerca escono fuori i ritratti di chi è stanco di sentirsi oppresso e trova forza nella ribellione, alla ricerca della consapevolezza del proprio “dasein”, dell’esserci qui ed ora.
L’uomo torna ad essere al centro dell’indagine, con i suoi limiti e le sue paure, per la costruzione di una nuova umanità dove chi è rimasto per tutto questo tempo invisibile riacquisisce piena coscienza della sua presenza nel mondo. Ogni artista selezionato ha elaborato il concetto di “uomo invisibile” secondo la sua naturale inclinazione: pittura, scultura, performance video, fotografia e installazione sono tutti medium privilegiati in cui si manifesta questa tematica.
Nella mostra è evidente il percorso che diversi artisti hanno scelto di proseguire, affrontando la tematica della denuncia sociale. Nelson Carrilho costruisce un racconto che documenta il duro sfruttamento lavorativo perpetrato dagli europei ai danni degli schiavi africani deportati in America. Meeting expetations e Quo vadis lamentano il fenomeno sempre attuale del neocolonialismo. L’artista iraniana Saba Najafi vuole far riflettere lo spettatore sull’impatto che le proprie azioni hanno sul destino dell’umanità. La stoffa nera lacerata nell’opera “Lacrime e ferite” diventa specchio delle vite spezzate e delle speranze infrante. Il nero è anche il colore scelto da Erica Roberti per sottolineare il male che capillarmente si insinua in una società sempre più corrotta. L’opera “Sacrificio” racconta il duro lavoro svolto da molte persone senza contratto, a cui lei tenta di dar voce. La denuncia sociale riaffiora in modo poetico nell’opera “Corpi irregolari” di Grazia Salierno, dove figure dal volto indefinito vengono descritte mentre raccolgono il seminato delle piantagioni. L’uso dell’acquerello tratteggia persone in perenne instabilità, alla costante ricerca di una speranza futura. Anche il mondo che rappresenta Giuseppe Samuele Vasile nella sua “Babilonia e poesia” risente di una visione onirica ma non sembra progettato per essere a misura d’uomo. Gli ingranaggi e le macchine che spuntano dalla scultura si aggirano come spettri di un utopico scenario dominato da un nuovo tipo di dittatura. Chi si rapporta in modo atipico e controverso nei confronti della società è Alessio Castaldi. In “Vaginal Davis” mostruose figure fuoriescono senza controllo da un universo animalesco, in cui gli istinti primordiali dell’uomo non sembrano sottoposti ad alcuna censura. Contrasti politici si avvertono nel lavoro minimalista di Mauro Castellani, contrassegnato dall’antinomia tra il nero ed il bianco. La tensione di cerchi opposti presenti in “Senza titolo” sprigiona una magnetica energia che diventa manifestazione del cambiamento sociopolitico europeo nel ’68. Netto è anche lo schieramento che sceglie di assumere Marika Mazzeo in “Povero Cristo”. L’esile corpo di un crocifisso è coronato da un casco giallo antinfortunistico, severa denuncia dei tanti martiri del lavoro. L’arte come rivendicazione sociale è presente anche nella tela “Lettera Scarlatta” di Pina Cerchiaro. Il monocromo bianco è interrotto da un groviglio di fili al cui centro domina il colore scarlatto, richiamo sia alla femminilità e sia alla dignità lavorativa della donna. La forte presenza biografica emerge con Chiara Antonelli nella sua “Ed è lì che ci siamo trovati” con i piedi sopra a una terra che brucia. Il duro mestiere del padre diventa ambigua testimonianza del lavoro, sospeso tra l’essere strumento di sopravvivenza a motivo di isolamento. Ad offrire una possibilità di redenzione da un’infanzia segnata dal lavoro minorile e da responsabilità precoci è l’artista indiana Tejaswini Loundo. Questa esperienza personale viene narrata dal rapporto di incomunicabilità con il suo giocattolo, presente nella video performance “Giocattoli, Fatiche… e io”?
Un’altra possibile chiave di lettura della mostra segue il tema del ricordo, come nel caso di Giulia Gastoldi. In “Carminio” diversi gesti e ritratti dei colleghi di lavoro dell’artista diventano memoria viva di un vissuto fatto di quotidianità, contenuto tra le pagine del libro d’artista. Strappi di quaderni compongono invece le due opere “Frammento 1 e Frammento 2” di Marco Marra. I flashback di oggetti presenti in ambienti interni della sua infanzia emergono dall’ombra, tra le sfumature di matita e carboncino. A dipingere nostalgicamente il suo paese è Maria Neve Vallone, attraverso la visione di una Zungri (VV) dimenticata. Vecchie case seguono un viale dal paesaggio assorto, dove ogni pietra poggiata è manifestazione di un lavoro e di un tempo perduto. I ricordi biografici riaffiorano tra il blu di Prussia di Graziella Romeo attraverso la tecnica della cianotipia. La sua “Cartoline dal passato” è un deposito di attimi vissuti da suo nonno emigrato in Svizzera negli anni ’60 in cerca di fortuna. Altro progetto fotografico che ha come protagonista il nonno è “Chocolate & dirty clothes” di Benedetta Sanrocco. Lo spazio che riecheggia è quello metafisico dell’assenza, del vuoto lasciato da chi quella vita l’ha persa per il lavoro.
Altri artisti hanno deciso di concentrare la ricerca sull’invisibile andando ad approfondire quel magma turbolento che si chiama psiche e che, pur risiedendo in ciascuno di noi, ci rende autentici, diversi e ci apre al dialogo con il mondo. In “Apnee” e “L’alba” di Agostino Scordo attimi di pura contemplazione suggeriscono scatti dalla durata infinita. Un lavoratore che si getta tra le acquee di Tropea (VV) o i riflessi infiniti del sole sulla superficie del mare sono manifestazione del desiderio di rallentare il proprio tempo. Le sensazioni provate dall’uomo sono centrali anche nell’opera video “Introspezione” di Manuel De Marco. L’artista tenta un’autoanalisi, raccogliendo lentamente un lenzuolo nero che lo circonda e che lo espone al mondo nella sua vulnerabilità. La chiave di volta dell’artista Sara Russo è comprendere le proprie emozioni. Nella sua opera relazionale “Sogni al chiodo”, semplici post-it fissano su una lavagna di sughero i desideri e le speranze dei lavoratori, usando la scrittura come terapia sociale. Chi invece usa la performance per liberarsi del proprio dramma interiore è Aris Mac Adden. Il video “La Ballerina” ripercorre gli attimi in ospedale in cui lei prende consapevolezza della propria fragilità, beffeggiando la morte e scegliendo di sorridere alla vita. Anche Valerio Villani persegue il sogno di superare le proprie paure partendo da una maggior conoscenza di se stessi. Nell’opera “Beyond the figure” le sagome indefinite formatesi dal sapiente uso dell’acquarello costruiscono il corpo di chi, in balia dei propri incubi, sceglie di liberarsene. Il corpo è lo strumento di indagine alla base del lavoro di Annamaria Girardi, intuibile nell’opera “Umano-inumano” in cui l’epidermide si compone di solchi bianchi e neri. Nell’apparente astrazione viene analizzato il rapporto tra ciò che sembra e ciò che realmente è, tra visibile e non visibile. La connessione che lega il corpo dell’artista e la sua mente è evidente nella ricerca portata avanti da Chiara Scolastica Mosciatti. In “Volatilità di terra” diverse tinte compongono un cosmo emotivo in cui il protagonista è il colore dalle consistenze rarefatte e misteriose, in grado di generare mondi dalle infinite potenzialità espressive. Alienante ed enigmatico è anche l’universo che costruisce Antonio Gualtieri Paternò. Nei suoi dipinti “Deposito dei rientri” e “Nel nome di qualcosa” la piccola figura di arlecchino è paradossalmente rattristita da qualcosa che non si conosce e che pare incombere come presagio di un imminente catastrofe”.
“Nell’ultima parte del percorso trovano spazio alcuni lavori di Paolo Pancari Doria, – ho tenuto a precisare – tra cui un’opera inedita e mai pubblicata. Un uomo prima che un’artista, Pancari si è sempre distinto per la sua ricerca sull’intimo rapporto che lega corpo e mente. L’intreccio di storie così diverse tra loro serve a fornire un panorama completo sul concetto di “uomo invisibile”, attraverso storie personali, esperienze di vita e aspetti psicologici. Seppur questi racconti siano personali, finiscono per diventare specchio dell’intera umanità” Questo quanto a firma di Eva Fruci – Curatrice della Collettiva.
Il ricordo affettuoso di Paolo Pancari, come artista e collega, mi riporta indietro nel tempo agli inizi degli anni ’90 quando ero Docente di Anatomia Artistica, all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro ed alle battaglie di allora sostenute per dare una sede dignitosa all’Accademia che a quei tempi era ubicata in un palazzo di Via de Filippis.
Le opere esposte diventano portavoce di speranza per chi sta affrontando momenti di difficoltà, rincuorandoli del fatto che non si è soli.
Il senso di questa performance è quello dell’invito a scegliere, a diventare partigiani.
Non si può, infatti, non schierarsi dalla parte di chi non ha voce o di chi ce l’ha ma è chiusa in un silenzio senza tempo, dalla parte di chi vive ormai di ricordi o nell’incerto presagio di un mondo governato da un controllo manipolatorio delle masse.
La mostra diventa pertanto un omaggio a tutti coloro che di fronte alle ingiustizie preferiscono non rimanere indifferenti, a tutti coloro che scelgono l’arte come utopica via di fuga verso un “altrove” indefinito. Lo scopo è porre domande e interrogativi senza voler dare delle risposte utilizzando il grande potere dell’arte e della sua capacità di non dire mai la verità. In un mondo in cui è facile cadere vittima dell’anonimato, si sentono ancora flebili voci lontane che si traducono in questo “Eco dell’Invisibile”.
Aristide Anfosso
p.s. Nel prossimo numero della rivista “i Catanzaresi” verrà dedicato un importante servizio con le immagini delle opere e dei partecipanti alla Mostra “Eco dell’invisibile. I ritratti dell’oppressione”
“Sogni al chiodo”. Opera interattiva di Sara Russo
Marika Mazzeo “Povero Cristo”
Il nostro corrispondente dalla Redazione Catanzarese Aristide Anfosso assieme all’autrice Sara Russo. Nella foto sottostante Anfosso assieme ad altre artiste partecipanti
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