Tuesday, September 26, 2023
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Deglobalizzazione, il fenomeno avverso e contrario alla globalizzazione

Avremo meno aperture progressiste nel campo dei diritti umani (non proprio una novità per il pianeta), la globalizzazione così come l’abbiamo vista subirà un arretramento, rimarranno gli scambi commerciali in nome del Dio denaro, meno scambi culturali e forse una diminuzione delle migrazioni perché i migranti che mantengono i contatti con le nazioni di origine sono il nemico numero uno dei regimi, i migranti sono quelli che portano aria fresca.


di Nicola Mongiardo per il Quotidiano l’Italiano

Iniziamo a prendere confidenza con questo termine perché probabilmente verrà sempre più utilizzato, esso è il fenomeno avverso e contrario alla globalizzazione, cioè un ritorno alla situazione precedente al globalismo nella sua forma più accentuata, oppure una riduzione e un contenimento dei suoi effetti nella forma più blanda.

Cina e Russia sono le due nazioni capofila di questo contro-movimento, ma non le uniche e vedremo anche le altre e i perché. Quando Putin e Xi annunciano in pompa magna al mondo la loro volontà di creare un nuovo ordine mondiale intendono dire sostanzialmente due cose: l’occidente (con a capo gli Stati Uniti d’America) non sarà più il centro del pianeta e di conseguenza il suo maggior “prodotto”, la globalizzazione, così come concepita, sarà riveduta e corretta.

La Cina è divenuta la “fabbrica” del mondo solo in seguito alla sua adesione al WTO, grazie ai colossi europei e americani che hanno trasferito la loro produzione industriale creando un vantaggio ai cinesi e ad altri Stati. Una ricchezza che in nazioni non democratiche non corrisponde a un miglioramento e diffusione del benessere per tutti, in Cina è vero solo in parte e cioè il tenore di vita è cresciuto, ma non ai livelli occidentali, questo perché le risorse e le decisioni sono gestite e prese sempre dal partito unico. La globalizzazione però non è solo industria delocalizzata con annesso sfruttamento del lavoro a basso costo, tra le “controindicazioni” vi è anche la diffusione di quella che io chiamo “aria fresca” cioè quelle idee liberali che pongono l’uomo al centro e che trovano sbocco attraverso una produzione giuridica, l’apertura alla diversità e al pensiero plurilaterale che trova espressione nei vari campi della fantasia umana (dal cinema, alla letteratura, ecc.). In Europa più che negli Stati Uniti, stiamo assistendo al superamento di quei valori che abbiamo ereditato dal passato e questo vuoto che sentiamo altro non è che il periodo di “incubazione”, creazione ed emersione di nuovi valori. La Cina è un paese illiberale, autoritario e tirannico e non può assorbire e fare proprie tutte le nostre idee, ciò comporterebbe la fine del regime e la nascita di qualcos’altro. Per mantenere il potere e lo status quo sempre la Cina è disposta a fare notevoli passi indietro e non c’è da meravigliarsi se lo stesso discorso è valido anche per la Russia che a differenza del dragone ha una economia poco moderna e mondializzata, quindi il sacrificio in nome del potere autocratico è ancora più facile da attuare e in ogni caso a farne le spese saranno sempre e comunque i popoli soggiogati di questi due paesi, in un clima di maggiore repressione e controllo.

Putin è consapevole di quello che sta facendo, anche se dalle nostre parti credono sia impazzito, l’obiettivo della Russia è porre un argine all’avanzata globalista occidentale, quei nuovi controvalori in formazione che mettono in discussione e quindi in pericolo le basi di qualsiasi nazione illiberale.

La Russia si poggia su alcuni inamovibili pilastri quali: la Chiesa ortodossa, lo Stato assolutista e l’esercito. Non c’è posto per i diritti gay, per le minoranze di ogni tipo, non è auspicabile da quelle parti una visione più aperta della società e tanto meno un ampliamento generalizzato dei diritti.

La guerra in Ucraina ha tante motivazioni, imperialismo pseudo-zarista/comunista, in chiave anti-NATO, io aggiungerei questa componente anti-global che non va sottovalutata. Un riposizionamento della Russia che guarda all’Asia è una conseguenza della loro nuova visione strategica. Con la “scusa” comunque reale della Nato ai propri confini, la Russia si sta volontariamente isolando dal continente europeo creando una nuova cortina di ferro.

E gli altri? In questo club no-global ci sono praticamente quasi tutti i paesi islamici, anzi loro si sono mossi in anticipo, dalle ceneri della primavera araba sono rinati e riaffermati gli Stati assolutisti di matrice coranica. Dalla Turchia di Erdogan alla Tunisia, paesi che qualche passo verso il pluralismo l’avevano fatto, sono tornati indietro, irrigidendosi nelle loro posizioni conservatrici e arretrate. Poi ci sono anche democrazie quali l’India anch’essa poco propensa ai cambiamenti e tanti paesi dal sud est asiatico ad altri sparsi in ogni angolo del globo. In poche parole, a conti fatti, la maggioranza del mondo in termini di popolazione sta bocciando il nocivo modello occidentale.

Quali conseguenze dalla deglobalizzazione? Avremo meno aperture progressiste nel campo dei diritti umani (non proprio una novità per il pianeta), la globalizzazione così come l’abbiamo vista subirà un arretramento, rimarranno gli scambi commerciali in nome del Dio denaro, meno scambi culturali e forse una diminuzione delle migrazioni perché i migranti che mantengono i contatti con le nazioni di origine sono il nemico numero uno dei regimi, i migranti sono quelli che portano aria fresca. Questo rallentamento dei flussi migratori da paesi che vogliono mantenere intatta la loro situazione interna al momento sembra una mia folle previsione, bisogna vedere fra qualche anno, quando la deglobalizzazione inizierà a dare i suoi primi frutti. Quale sarà la possibile controreazione dell’occidente? Considerando il fatto che sono decisioni di politica interna di Russia, Cina e altre nazioni, non è facile se non impossibile imporre la propria visione a questi paesi, la chiusura di un regime alle aperture mi sembra una conseguenza di logica del mantenimento del potere. Noi occidentali dovremmo prenderne atto e magari cogliere l’occasione per migliorare il nostro tessuto sociale perché ne abbiamo tanto bisogno (cioè concentrarci su noi stessi), poi dovremmo accettare il fatto che le altre nazioni anche se non democratiche comunque prendono le loro decisioni. Ci eravamo auto-convinti che intensificando gli affari e assegnando le olimpiadi, l’expo e i mondiali di calcio potessimo (insieme alle nostre “ramanzine” sul mancato rispetto sempre dei diritti umani) apportare significativi miglioramenti sul piano civile. Ciò è semplicemente una pura velleità all’occidentale che diventa stupidità come quando si assegnarono le olimpiadi alla Germania nazista di Hitler (poi abbiamo visto i frutti di quella apertura). Dobbiamo, invece, prendere atto delle diversità presenti nel mondo e cominciare a capire quali sono i pregi e quali i difetti degli altri popoli (così come dei nostri), senza credere nel folle intento di democratizzare e umanizzare a modo nostro il resto del pianeta. Ogni popolo ha il diritto ad avere una propria storia e dobbiamo accettarlo, dobbiamo evitare inutili e pericolose esportazioni come la globalizzazione senza freni, che non ha mai messo in conto la tenuta e la strenua resistenza (e le conseguenze collegate) delle tradizioni, delle differenze culturali ed etniche, di quanto possa essere forte e radicata una religione o un semplice stile di vita. La democrazia è un percorso e non un prodotto esposto in vetrina, è un modo di ragionare e agire in coerenza a essa, è una mentalità che si acquisisce nel corso di molte generazioni e che non può nascere dal nulla. Pensavamo di poter travolgere il mondo globalizzando ogni angolo della terra, facendo “copia incolla” del nostro modello di vita in Asia, Medio Oriente…ovunque, ma ci sono delle fondamenta con radici millenarie in ogni popolazione, questi cambiamenti richiedono rivoluzioni culturali molto più serie e profonde che necessitano tempi lunghi.

Nicola Mongiardo

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