Droghe e varie dipendenze, ne parliamo con il dott. Vito Spinella direttore del Centro Kades di Melazzo in prov. di Alessandria
In una società sempre più oppressa, come abbiamo già illustrato in questo giornale, ad esempio, c’è chi cerca una soluzione, una via di uscita, uno sballo per non pensare alle preoccupazioni del mondo reale, utilizzando vari tipi di droga e, quindi, cadendo in diverse forme di dipendenza psico-fisica.
di Romano Scaramuzzino per il Quotidiano l’Italiano

MELAZZO (AL) – Monopolizzati come siamo, da un po’ di tempo a questa parte, dalle solite (se pur necessarie ma, riteniamo, anche oltremodo univoche e martellanti news riguardanti la pandemia di Covid-19 e i problemi ad essa collegati) sembra di vivere distaccati dalle altre realtà che, nel bene e nel male, fanno parte della nostra vita, personale e sociale.
In effetti, parallelamente al Covid-19, tanti uomini e donne, oggigiorno, lottano contro diverse problematiche e lo fanno sia come vittime di quest’ultime che come sconosciuti operatori che si adoperano per far sì che questi difficili vissuti vengano risolti.
In una società sempre più oppressa, come abbiamo già illustrato in questo giornale, ad esempio, c’è chi cerca una soluzione, una via di uscita, uno sballo per non pensare alle preoccupazioni del mondo reale, utilizzando vari tipi di droga e, quindi, cadendo in diverse forme di dipendenza psico-fisica.
Di tutto questo ne abbiamo parlato con il Dottore Vito Spinella, direttore del Centro Kades onlus, struttura di impronta cristiana per la riabilitazione e l’inserimento nel tessuto sociale di chi è, appunto, vessato da queste angustie.
Dottor Vito Spinella, ci vuole gentilmente dire dove è nato e quale titolo di studio ha conseguito nella sua vita?
Sono nato in provincia di Catania, in una cittadina posta tra il vulcano Etna e il mare ionio, un paio di anni prima dello sbarco sulla Luna… Ho conseguito poi la laurea in Psicologia nell’allora ricco Nord-Est, a Padova, dove ho piacevolmente vissuto per diversi anni.

Quando e dove è avvenuta la sua conversione al cristianesimo?
Da ragazzo mi muovevo su posizioni agnostiche ed ero interessato alle tematiche di giustizia sociale. Più che psicologia avrei voluto studiare antropologia. Credo cercassi una risposta alla mia inquietudine esistenziale. In seguito, lessi da qualche parte che chi s’interessa di psicologia non sia contento di se stesso, chi studia sociologia non sia contento della società dove vive e chi studia antropologia non sia contento della civiltà dove vive. È possibile. Durante gli studi universitari ero alla ricerca di qualcosa di più e conducevo una vita non proprio da studente esemplare. Ricordo che in un dato momento i miei pensieri furono assorbiti dal concetto di eternità, di ciò che è eterno. Mi ricordai allora dei quadri appesi alle pareti della casa dei nonni paterni di fede evangelica, contenenti versetti della Bibbia come “L’Eterno è il mio pastore nulla mi mancherà”. Questo mi spinse ad acquistare una Bibbia e a cominciare a leggerla. La mia forma mentis piuttosto scettica e disincantata e la mia inclinazione piuttosto libertaria si scontrarono col pensiero biblico, ma alla fine, quando considerai seriamente la morte di Gesù e, subito dopo, la sua resurrezione, tutto cambiò.
Come si è avvicinato al Centro Kades e qual è stato il suo percorso al suo interno prima di diventarne il Direttore?
Conoscevo vagamente il Centro Kades come Struttura Terapeutica Evangelica; un’estate mi fu data la possibilità di farne diretta esperienza. Sarebbe dovuta essere una collaborazione di qualche mese, tanto per fare curriculum, invece eccomi qua! All’inizio, nel 2000, la mia collaborazione si limitava a tre giorni settimanali, dal 2004 invece mi trasferii da Padova, dove vivevo con mia moglie e la primogenita, nell’alessandrino. Col tempo ricoprii l’incarico di Responsabile del Programma e dal 2017 quello di Responsabile della Struttura.

Dove risiede il Centro?
Il Centro Kades si trova a Melazzo, in provincia di Alessandria. È operativo ufficialmente dal 1979, quando era ancora una vecchia cascina posta sul cocuzzolo di una collina immersa nella natura del Monferrato da dove si gode una meravigliosa vista di Acqui Terme.
Perché il nome Kades alla struttura?
I credenti che diedero impulso a quest’opera credo l’abbiano scelto per il concetto di rifugio, perché Kades era il nome di una delle sei città di rifugio in Palestina dove, secondo la prescrizione biblica, potevano ripararsi gli autori di omicidio involontario per sfuggire alla vendetta di chi aveva subito la perdita.
Come viene accolto e qual è il percorso dell’utente presso il vostro Centro?
Di regola l’invio in comunità dovrebbe avvenire su iniziativa dei Servizi per le dipendenze, i cosiddetti Ser.D, ma a volte avviene su indicazione di familiari, amici, o per iniziativa personale. L’ingresso in comunità avviene dopo colloquio con la persona interessata per verificare se c’è compatibilità tra i bisogni, le condizioni, le aspettative della persona richiedente aiuto e le caratteristiche del nostro percorso comunitario.
L’iter della persona che ha bisogno del vostro aiuto varia in base al tipo di dipendenza?
Ogni persona ha una sua storia e delle peculiarità dovute anche al tipo di dipendenza. Il percorso viene personalizzato sulle caratteristiche e sulle condizioni psicofisiche della persona, fermo restando che ogni soggetto si confronterà, insieme ai membri del gruppo, con le stesse dimensioni relative alla responsabilità, alla libertà e al benessere nei confronti di se stessi e degli altri.
Direttore, si può parlare di Cristoterapia presso il Centro Kades?
A me personalmente, il termine Cristoterapia non piace, lo trovo piuttosto riduttivo. La persona di Cristo e la Buona Novella sono al centro del modello di uomo perseguito al Centro Kades, ma Gesù non è una terapia e neanche un guaritore, per lo meno non solo.
Qual è il significato e il valore dell’Evangelo nel recuperare e ricostruire vite distrutte dalle droghe, dalle varie dipendenze?
Chi ha problemi con una dipendenza non ha bisogno soltanto di terapie, non è per forza un malato. Non necessita solo di emozioni, di eccitamenti stupefacenti. Ha anche bisogno di valori, di significati, di sentirsi parte di un progetto, di un piano, di un futuro. Ha bisogno di vita, di speranza, di amore e di giustizia. La persona che riesce ad andare oltre l’adesione a una mera pratica salutistica o moralistica, se riesce a spingersi oltre la superficie del messaggio evangelico troverà quello di cui ha veramente bisogno.
A livello medico, con chi collaborate?
Collaboriamo con i medici invianti, col medico di medicina generale ed altri specialisti del territorio e con eventuali psichiatri di riferimento.
Questa sinergia tra medicina e cristianesimo, quali risultati ha portato nel risanamento di coloro che sono vostri ospiti?
Come in qualche modo dicevo prima, non possiamo ridurre il cristianesimo a una specie di corrente terapeutica alternativa alla medicina tradizionale. Certamente confidando nell’aiuto di Dio è possibile vedere risultati inaspettati secondo le prognosi di partenza. Abbiamo visto soggetti, per i quali tutti i precedenti tentativi di recupero si erano dimostrati fallimentari, considerati dai servizi medici specialistici tossicodipendenti cronici o soggetti socialmente irrecuperabili, riacquistare e mantenere a distanza di molti anni, piena salute, libertà e benessere grazie alla loro fede in Gesù.
Quante persone potete accogliere presso i vostri centri?
Il centro maschile è accreditato per accogliere quindici soggetti con problemi di dipendenza ma avrebbe una capienza per accogliere fino a trenta persone. Il Centro femminile invece, Il Beser (altra città di rifugio dell’Antico Testamento) potrebbe accogliere fino a un massimo di otto donne.
Qual è stato il momento più difficile e quello più bello ed edificante che lei ha attraversato in questi anni in qualità sia di operatore, prima, e di Direttore, dopo?
Indifferentemente dal ruolo ricoperto, ho vissuto insieme agli altri componenti dello staff, diversi momenti brutti, tutte le volte in cui ci siamo trovati ad assistere alle scelte di utenti che avrebbero potuto mettere a repentaglio la propria vita. In particolare ricordo un episodio di tanti anni fa, in cui una persona non più giovane che non accettava di restare in comunità e che sapeva di non essere accettato dai suoi familiari, decise di lasciare la comunità e che non arrivò mai a casa perché si gettò dal treno in corsa. Ma grazie a Dio viviamo anche molti momenti belli, in particolare quando incontriamo quei ragazzi su cui la maggior parte non avrebbe scommesso un centesimo sul loro cambiamento e che invece dopo tanti anni li vediamo felici nel Signore e magari sposati con figli.
Direttore, qual è il messaggio principale che Cristo porge a chi si trova in questo tipo di problematiche?
Voglio rispondere con i versetti che gli utenti imparano a conoscere quando cominciano il percorso comunitario. Il primo: Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Giovanni (3.16). E il secondo: Infatti io so i pensieri che medito per voi”, dice il SIGNORE: “pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza. (Geremia 29.11)
Il vostro è un Centro cristiano evangelico. Di certo non ha importanza l’appellativo ma per chi non lo sapesse, che differenza c’è tra il cristianesimo evangelico e le altre denominazioni cristiane?
Nel mondo religioso, come in quello politico, esistono Stati con il partito unico o la religione unica e altri con più partiti o più confessioni religiose. In Italia, può accadere ancora oggi, che chi non appartiene al gruppo religioso cristiano di maggioranza sia considerato membro di una setta, senza la necessità di appurare se il credo confessato sia coerente o meno all’insegnamento biblico. L’Italia non è estranea alla persecuzione religiosa: durante il fascismo ne hanno fatto esperienza quei cristiani evangelici rei di non aderire alla religione di Stato. Oggi sicuramente possiamo godere della libertà religiosa, che è una bella cosa, anche se bisognerebbe fare attenzione alla qualità delle molteplici offerte spirituali, anche cosiddette evangeliche, a volte particolarmente stravaganti. Comunque, per rispondere in maniera semplice alla domanda, potrei dire che il cristiano evangelico non crede in una religione ma in Gesù e a tutto l’Evangelo.
Abbiamo appreso (ne abbiamo già parlato dalle pagine online di questo giornale, nda) di una ripresa notevole dell’uso dell’eroina. A cosa addebita questo, purtroppo, balzo in avanti di questa droga?
Diversi giovani si accostano precocemente all’eroina fumandola, credendo faccia meno male. Il policonsumo, l’uso di più sostanze psicotrope, è prevalente fra i giovani, disposti a farsi tutto quello che trovano sul mercato pur di sballarsi. E quello che trovi sul mercato degli stupefacenti dipende anche dalla situazione politico-economica internazionale. Restando sulla questione eroina, la produzione e il commercio di oppio rappresentano in l’Afghanistan una fonte economica importantissima per le milizie talebane e purtroppo anche per la popolazione affamata. E negli ultimi tempi l’eroina talebana sembra abbia conquistato sia il mercato europeo sia quello americano.

La pandemia, il Covid-19 ha reso più difficile il vostro lavoro e, secondo lei, ha facilitato nelle ricadute o, addirittura, nell’iniziare a fare uso di droghe tra le persone più “fragili”?
Il nostro lavoro fondamentalmente è rimasto lo stesso. Certo, abbiamo risentito dell’isolamento imposto dal Covid 19, per quanto riguarda le visite dei familiari, i colloqui in presenza, e altri momenti di scambio e socializzazione con l’esterno. Sicuramente le personalità più fragili hanno risentito le conseguenze dei lockdown che ad esempio è noto come abbiano influito anche sull’aumento dell’uso di benzodiazepine, cioè degli ansiolitici, la classe di psicofarmaci più venduta e facilmente soggetta ad abuso.
Quale messaggio si sente di dire, infine, a chi ci legge e che forse si trova, personalmente o con persone care, di fronte ad un problema così difficile da risolvere come quello della tossicodipendenza?
Di non disperare, che è ancora possibile sconfiggere ogni dipendenza. Che a Dio niente è impossibile, ma noi dobbiamo fare la nostra parte. Ad esempio non bisogna pensare di risolvere veramente questo problema, di poter guarire senza dover cambiare. Bisogna avere la volontà di mettersi in discussione, di rialzarsi con un po’ di pazienza e umiltà, per scoprire poi un tesoro inestimabile.
Si conclude qui, il nostro colloquio con il Direttore Spinella, consci di aver cercato di approfondire una tematica così delicata e, purtroppo, sempre attuale, sull’utilizzo di sostanze stupefacenti e di comportamenti disturbanti ma con una speranza ed una certezza, che uscire da essi si puo’.
Magari con la primaria delle soluzioni, quella della prevenzione attuata in un modo di agire amorevole, partecipativo, ritrovandoci nelle più note parole del famoso sermone di John Donne, dal titolo Nessun uomo è un’isola:
“Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso, ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto.”
Romano Scaramuzzino
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