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Italo Calvino, il cammino della letteratura come metafisica

Il rimpianto per non aver potuto raggiungere uno scopo, sia esso spirituale o materiale, il tempo della vitra che se ne va, la presa di coscienza c il nostro percorso terreno corre lento m a scorre inesorabile la troviamo in un breve scritto di Calvino nei suoi racconti delle “Città invisibili”.

By L'Italiano , in Letteratura Rubriche , at 23 Giugno 2021 Tag: , , ,

di Pierandrea Saccardo (dalla redazione romana – Cultura)

Nel corso di un programma televisivo un giornalista chiese ad Italo Calvino: “Perché lei rilascia poche interviste e soprattutto compare raramente in televisione?”. Lo scrittore, dopo aver fissato l’interlocutore con uno sguardo inteso a scrutare nei più profondi meandri dell’anima rispose nel suo accento ligure sanremese: “Perché ho parlato troppo nella mia vita per avere ancora voglia di ascoltarmi!”. In questa risposta appaiono evidenti i contrasti tra il Calvino scrittore sempre e comunque critico verso quella società consumistica e dunque annientatrice delle antiche e radicate tradizioni familiari e l’uomo politico. Spesso, si fanno leggere ai ragazzi “Il Cavaliere inesistente”, “Il Barone rampante”, “Il Visconte dimezzato”, in altre occasioni la lettura cade sulle “Avventure di Marcovaldo”.

Italo Calvino Roma, dicembre 1984 –

Racconti, che a ragazzi adolescenti possono sembrare favole per bambini su cui sorridere per poi dimenticarsene finita la scuola. In realtà essi sono racconti densi di significati reconditi, dove l’invisibile si ribella alla regola, al convenzionale a quel mondo schematizzato a cui una buona parte degli esseri umani è costretto ad ubbidire. Leggiamo un breve passo del “Barone rampante”: “Fu il 15 giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l’ultima volta in mezzo a noi. Ricordo come se fosse oggi. Eravamo nella sala da pranzo della nostra villa d’Ombrosa, le finestre inquadravano i folti rami del grande elce del parco. Era mezzoggiorno, e la nostra famiglia per vecchia tradizione sedeva a tavola a quell’ora, nonostante fosse già invalsa tra i nobili la moda, venuta dalla promattiniera Corte di Francia d’andare desinare a metà pomeriggio. Tira vento dal mare, ricordo, e si muovevano le foglie. Cosimo disse – Ho detto che non voglio e non voglio! – e respinse il piatto di lumache. Mai s’era vista disubbidienza più grave”. A causa di questa ribellione all’autorità paterna Cosimo dovrebbe essere punito severamente, diciamo dovrebbe, perché lui fugge arrampicandosi su un albero da cui non discenderà mai più. Bisogna tener presente che il racconto si svolge ai confini tra la Liguria e quella che veniva chiamata la “Terra di Francia”, una foresta interminabile, dove si celavano le dimore dei nobili locali. Dunque Cosimo, finisce per trascorrere la sua vita attraverso gli alberi e passando il tempo a leggere i libri che il fratello gli porta di nascosto. Nel corso della sua bizzarra esistenza Cosimo riuscità persino a convertire alla lettura il temuto brigante Gian dei Brughi che si aggirava nei boschi. Il racconto termina con la morte di Cosimo appeso alla fine di una mongolfiera trascinata dal vento verso il mare. Ricordando Cosimo il fratello scrive: “Visse sugli alberi-Amò sempre la terra – salì in cielo”. E’ chiaro a tutti che ci troviamo di fronte ad un discorso iniziativo. Cosimo, liberatosi dalla forma e dalle convenzioni sociali compie il suo percorso, dove tra l’altro ha indirizzato alla lettura Gian dei Brughi che pentito della vita scioperata compiuta sino ad allora si reca sempre più spesso sotto l’albero dove Cosimo ha il suo rifugio. Gli chiede insistentemente sempre nuovi libri perché in lui cresce ormai il desiderio irrefrenabile di istruirsi. Il brigante è desideroso di innoltrarsi verso una nuova vita, ma la giustizia che lo bracca non perdona. Gian dei Brughi verrà arrestato e condannato a morte.

Qui possiamo notare come in Calvino sia evidente il rapporto uomo-natura. Gli alberi, la foresta, la solitudine, l’incalzante distacco di Cosimo dalle radici familiari. La fine del suo percorso terreno. La mongolfiera che vola con Cosimo verso l’infinito metafisico è la parabola su ciò che esiste ma non vediamo.

La letteratura di Calvino può essere definita poliedrica? Pe trovare una risposta dobbiamo fare un salto all’indietro nel tempo poiché, non si può prescindere la sua carriera letteraria se non si esamina con attenzione prima la sua infanzia e adolescenza.

Calvino nacque a Cuba poiché il padre botanico era stato inviato dallo stato italiano in quella terra lontana per studiare piante sino ad allora sconosciute. La madre sarda era una chimica, una donna severa ed intransigente con i figlie. All’età di due anni il Calvino torna in Italia con i genitori precisamente a Sanremo. Qui Italo trascorrerà gli anni della giovinezza che saranno fondamentali per le sue scelte politiche e successivamente letterarie. I sintomi dell’insofferenza di Calvino al visibile così come all’inamovibile lo possiamo leggere nel racconto “La strad di San Giovanni.” Poche pagine sufficienti però a mettere in rilievo l’insanabile divario tra lui ed il padre un uomo dedito esclusivamente a curare e a catalogare le piante. Un padre che obbliga i figli anche nei giorni di festa ad alzarsi all’alba per portare cesti di frutta e verdura dalla campagna. Così Calvino ricorda quel periodo: “Per me la carta del pianeta andava da casa nostra in iù – i segni del futuro mi aspettavo di decifrarli laggiù – le due età si sono fuse in una nomenclatura Babelica il Beudo. Capite come le nostre strade divergevano, quelle di mio padre e la mia. Ma anch’io, cos’era la strada che cercavo se non la stessa di mio padre scavata nel folto d’un’altra estraneità, nel sopramondo (inferno umano), cosa cercavo se non la porta socchiusa, lo schermo di un cinematografo, una pagina da voltare, un’esperienza mia, non più l’eco di un eco di un eco. Mio padre additava certe foglie e diceva : “Ypotoglaxia Jasminfolia (inventato da me, i nomi veri non li ho mai imparati). Tutta la vita di mio padre era dominata dall’impazienza come se la stessa abolissero la fatica e lo spazio. Il vuoto perché provoca la caduta degli atomi, ma se il vuoto fosse lasciato spalancato sarebbe angosciante. Ma Calvino, come comune ai letterati è prigioniero dell’eterno conflitto tra l’idea e la realtà del quotidiano. Tutto ciò viene messo in rilievo e analizzato nelle sue “Lezioni americane”, dove viene emerge il contrasto tra la leggerezza del pensiero e la pesantezza della realtà. Una pesantezza che si riferisce alla fisica in quanto la forza di gravità tiene inchiodata alla terra esseri umani, animali e piante. Penso che si aimportante, se pur brevemente soffermarsi sulle Lezioni Americane” che Calvino non portò mai a termine a causa della sua morte improvvisa avvenuta nel settembre del 1985. L’autore le aveva preparate in vista di una serie di lezioni che avrebbe dovuto tenere all’Università di Harvad nell’autunno di quell’anno. Nel ciclo di quelle lezioni che non si tennero mai importante è l’analisi di Calvino sulla poesia e la prosa di Giacomo Leopardi. L’analisi cosmologica di Calvino prende spunto dal “Cantico del Gallo Silvestre”, dove è l’intero universo a spegnersi e a sparire: “Un silenzio nudo, e una quiete altissima, empieranno lo spazie immenso”. Calvino scrive: “Questa conferenza non si lascia guidare nella direzione che m’ero proposto. Ero partito per parlare dell’esattezza, non dell’infinito e del cosmo. Volevo parlarmi della mia predilezione per le forme geometriche, per le simmetrie, per le serie, per la combinatoria, per le proporzioni numeriche, spiegare le cose che ho scritto in chiave della mia fedeltà all’idea di limite di misura …. Ma forse è proprio quest’idea che richiama quella che non ha fine: la successione dei numeri interi, le rette di Euclide …. Conclude l’autore. “Forse piuttosto che parlarvi di come ho scritto quello che ho scritto, sarebbe più interessante che vi dicessi i problemi che ancora non ho risolto, che non so come risolverò e cosa mi porteranno a scrivere ….” Mi azzardo a pensare che vi sia un filo, se pur con tutte le differenze del caso, che lega Calvino con Leopardi per quanto riguarda la presa di coscienza dell’uomo di fronte al mistero dell’infinito, della metafisica. Nella poesia “L’InfinitoLeopardi scrive: “Così tra questa Immensità s’annega il pensier mio: E il naufragar m’è dolce in questo mare”. Il mistero della creazione viene analizzato da Calvino nelle Cosmocomiche dove, un personaggio annota: “Una notte osservavo come al solito il cielo con il mio telescopio. Notai che da una galassia lontana cento milioni di anni  lucefronte sporge un cartello. C’era scritto “Ti ho visto”. Feci rapidamente il calcolo: la luce della galassia aveva impiegato cento milioni di anni a raggiungermi e siccome di lassù vedevano quello che succedeva qui con centomilioni di anni di ritardo, il momento in cui mi avevano visto doveva risalire a duecento milioni di anni fa: alla natura ero ostile. E non sapevo che stavo cercando un rapporto, forse più fortunato di quello di mio padre, un rapporto che sarebbe stata la letteratura a darmi, restituendo significato a tutto, e d’un tratto ogni cosa sarebbe divenuta vera, tangibile e possibile e perfetta, ogni cosa di quel mondo ormai perduto”.

Italo Calvino alla sua scrivania

Il rimpianto per non aver potuto raggiungere uno scopo, sia esso spirituale o materiale, il tempo della vita che se ne va, la presa di coscienza c il nostro percorso terreno corre lento m a scorre inesorabile la troviamo in un breve scritto di Calvino nei suoi racconti delle “Città invisibili”.

All’uomo che cavalca lungamente per terreni selvatici viene desiderio d’una città. Finalmente giunge a Isidora, città dove i palazzi hanno scale a chiocciola incrostate di chiocciole marine, dove si fabbricano a regola d’arte cannocchiali e violini, dove quando il forestiero è incerto tra due donne ne incontra sempre una terza, dove le lotte dei galli degenerano in risse sanguinose tra gli scommettitori. A tutte queste cose egli pensava quando desiderava una città. Isidora è dunque la città dei suoi sogni: con una differenza: La città sognata conteneva lui giovane; a Isidora arriva a tarda età. Nella piazza c’è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; lui è seduto in fila con loro. I desideri sono già ricordi”.

Pierandrea Saccardo

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