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Pier Paolo Pasolini. Scritti corsari e Lettere Luterane. In una raccolta di articoli lo scrittore aveva previsto la decadenza della società italiana

In una raccolta di articoli lo scrittore aveva previsto la decadenza della società italiana

By L'Italiano , in In Evidenza Letteratura , at 28/07/2021 Tag: , , , , ,

di Pierandrea Saccard0

(dalla Redazione Letteraria del quotidiano l’Italiano)

Nel mio romanzo, “I Gatti Scorticati”, Giampiero Campanella, personaggio centrale del racconto, alla notizia dell’assassinio di Pier Paolo Pasolini dice tra sé: “Pasolini, allora come oggi, ha esercitato su di me un fascino sinistro. Non ho mai amato in pieno la sua letteratura, mentre il suo lato umano, quello più inaccessibile mi ha colpito come una scarica elettrica. Un sentimento di repulsione il mio nei confronti di Pasolini, ma anche di attrazione fatale, a causa di quella sua visione selvaggia di cavallo della prateria, senza freni, privo di limiti emotivi. Credo di non sbagliare affermando che in Pasolini vi era una componente di uomo-cavallo-demone per dirla come William Faulkner nel suo romanzo “Assalone, Assalone”. Pasoloni uomo con i suoi vizi, le sue perversioni, il suo creare scandalo a livello letterario ma anche cinematografico. Pasolini, cavallo senza briglie, dove in un epoca segnata dal conformismo del potere non aveva esitato a criticare gli intellettuali di sinistra, che assieme ad una borghesia pigra e cieca si dimostrava nemica di ogni evoluzione-rivoluzione. Pasolini demone, spietato critico di quel “1968” che avrebbe sconvolto per sempre i tradizionali canoni della società non solo borghese ma anche proletaria. Uno scrittore controcorrente Pasolini, contro tutto e polemico nei confronti di una società pronta al conformismo. A pochi mesi dalla sua tragica fine scriveva a proposito della postura dei progressisti da salotto inneggianti a quei giovani che definivano i propri genitori “fossili”. Dopo aver elevato verso i padri barriere tendenti a relegare i padri nel ghetto, si sono trovati essi stessi chiusi nel ghetto opposto”. Tutto ciò lo scriveva nell’autunno del 1975 ad un passo ormai da una morte che lui sentiva nell’aria. Sono trascorsi quasi cinquant’anni da allora e inevitabilmente ci chiediamo se la sua opera letteraria, così come i suoi giudizi al curaro su uomini ed istituzioni siano ancora attuali. In questo periodo, in una Roma, sigillata dalla pandemia, ho voluto ripercorrere i posti dove trascorse le sue ultime giornate di vita. Volevo tentare di capire se i luoghi, come i volti di quella Roma descritti nei suoi libri fossero sopravvissuti al tempo.

Sono entrato nel ristorante “Er Pommidoro” nel quartiere di San Lorenzo, dove cenò con un gruppo di amici. All’interno della sala, in una bacheca i proprietari del locale conservano l’assegno con cui lo scrittore pagò la cena. L’assegno, testimone di una imminente tragedia non fu mai incassato. Una mattina ho fatto visita al ristorante “Il Biondo Tevere” al quartiere Ostiense, dove Pasolini si intrattenne a cena con Pino Pelosi il suo (probabile) assassino. Parlando con i proprietari dei locali mi sono reso conto come loro appartengano alla memoria storica di una società sia romana che nazionale ormai scomparsa. I malandrini descritti da Pasolini nei suoi romanzi “Ragazzi di Vita” e in “Una vita violenta” hanno ormai da tempo lasciato il campo ad una malavita spietata e organizzata. Le bottiglie di vino rubate dai bricconi ad un oste distratto sono da tempo state sostituite dalle droghe e dalle pistole pronte ad uccidere per i più futili motivi.

Il quartiere popolare di San Lorenzo feudo incontrastato del partito comunista è da tempo terreno di spaccio. La classe operaia, se ancora esiste, ha da tempo rinnegato la propria fede in un comunismo ormai divenuto una minestra riscaldata i cui cuochi sono gli attuali saltimbanchi della politica. Ebbene, sfogliando le pagine di Scritti corsari e delle Lettere luterane dobbiamo ammettere, anche se a qualcuno non piacerà, che Pasolini è stato un profeta, scandaloso, in alcuni casi dogmatico, ma profeta. Ma anche i quartieri alti, come i Parioli, giudicati a torto un quartiere fascista, popolato da figli di papà viziati e violenti ha mutato sembianze. Oggi è un quartiere di uffici, dove alle cinque del pomeriggio scende un silenzio inquietante come in un cimitero. A questo proposito, in un articolo scritto il 30 ottobre 1975 sul Mondo, Pasolini entrò in polemica con Italo Calvino che dalle pagine del Corriere della Sera dell’8 ottobre dello stesso anno commentando il massacro del Circeo aveva lanciato un’accusa alla borghesia sentenziando: “Non c’è che un passo dall’atonia morale e dall’irresponsabilità sociale (da parte della borghesia italiana) alla pratica di seviziare e massacrare …”. Immediata giunse la risposta piccata da parte di Pasolini: “Tu hai privilegiato i neofascisti pariolini del tuo interesse e della tua indignazione, “perché sono borghesi”. Se a fare la stessa cosa fossero stati dei “poveri delle borgate romane” non se ne sarebbe parlato tanto in quel modo. Perché i “poveri” delle borgate o i “poveri” immigrati sono considerati delinquenti a priori”. Rileggendo a distanza di anni queste controversie tra due esponenti di calibro della sinistra italiana appare evidente come le crepe ideologiche stessero per divorare il sacrario dell’ortodossia comunista. Non a caso negli Scritti corsari Pasolini annota: “Oggi, nessuno al mondo potrebbe distinguere dalla presenza fisica un rivoluzionario da un provocatore. Destra e sinistra si sono fisicamente fuse”. Le Lettere luterane, come gli Scitti corsari ci fanno comprendere come Pasolini avesse intuito il marasma morale e politico in cui sguazzavano gli italiani. Ormai nella sua rivolta contro l’Italia del consumismo lo scrittore lanciava l’anatema contro il virus dello “slogan” che attraverso la lingua tecnica si sostituiva alla lingua umanistica. Sempre negli Scritti corsari affermava che lo “slogan” è il padre di “Un mondo inespressivo, senza particolarismi e diversità di culture, profondamente omologato e acculturato”. La sinistra era allarmata, quello che era stato un icona del marxismo si era trasformato in picconatore dei costumi, uno scrittore “fuori dagli schemi” una pericolosa “scheggia impazzita”. Pasolini una “Scheggia impazzita?” Erano in tanti a dirlo e a pensarlo e forse, non lo sapremo mai ma questo potrebbe aver segnato il suo destino. Alcuni giornalisti hanno scritto che la fine di Pasolini si doveva attribuire al suo famoso romanzo, mai completato dal titolo “Petrolio” un libro verità, dove denunciava i complotti del potere e delle relative stragi di Stato. Un libro talmente pericoloso da indurre qualcuno in alto tra le stanze del potere a far fermare per sempre la mano dello scrittore. Personalmente sono d’accordo con chi ritiene che l’assassinio di Pasolini sia legato ad un’indagine del “ribelle friulano” sul mondo della droga.

Lo scrittore con la sua inchiesta avrebbe violato taluni santuari legati appunto allo spaccio della droga e perciò l’avrebbe pagata cara. Taluni testimoni affermano che Pasolini, alcuni giorni prima di essere ucciso fu avvicinato da alcuni individui e minacciato di morte. Non abbiamo le prove certe che ciò sia vero però se leggiamo alcune pagine delle Lettere luterane sul fenomeno della droga dobbiamo riflettere. Ecco cosa scriveva Pasolini a riguardo: “Dunque noi oggi viviamo in un periodo storico in cui lo “spazio” o (vuoto) per la droga è enormemente aumentato. E perché? Perché la cultura italiana in senso antropologico “totale” in Italia è andata distrutta, o è in via di distruzione”. Non sapremo probabilmente mai la verità sull’assassinio di Pasolini, ma una cosa è certa nella sua raccolta di articoli racchiusi nelle Lettere luterane e negli Scritti corsari era stata prevista la futura storia dell’Italia con le sue omertà e i suoi complotti. Quale legame ancora resiste tra quel mondo lanciato come un treno verso gli anni di piombo e l’attuale? Il legame esiste, corroso dal tempo ma ancora in grado di tenere stretto il passato ed il presente. Gli scritti di Pasolini rimangono come monito ad un Italia che per troppo tempo si era saziata di un benessere in parte fittizio. Oggi gli italiani rischiano di tornare poveri dopo essersi ubriacati di un consumismo che ha fatto dimenticare loro i valori storici e tradizionali in cui erano cresciuti.

Pierandrea Saccardo

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