Stato-mafia. Giù il cappello davanti alla sentenza che assolve Dell’Utri e Mori. L’unica “trattativa” ha danneggiato il sistema democratico repubblicano
Chi? Quali? Quando? Come? Dove? … i protagonisti negativi di questa sceneggiata che si è conclusa con la più totale delle sconfitte giudiziarie, pagheranno (materialmente, perché moralmente ne escono accartocciati come fogli da macero) un tributo per la lesione dell’onore degli innocenti e quello della nostra Repubblica?
Editoriale di Riccardo Colao (Direttore del Quotidiano l’Italiano)

A margine della clamorosa sentenza della Corte d’Assise d’Appello palermitana che ha di fatto ribaltato quella precedente: non ci fu trattativa tra gli uomini dello Stato e quelli della mafia. Acclarata la tesi, come dicono taluni che “le sentenze non si discutono”, la domanda sorge spontanea: avevano ragione i giudici che condannarono Dell’Utri, Mori e compagnia bella o hanno avuto migliore capacità e serenità di giudizio i togati che li hanno assolti?.
A leggere le considerazioni elaborate del giornalista più “travagliato” d’Italia, che non sapendo come giustificarsi davanti all’ennesimo sputtanamento delle sue tesi, si arrampica sulle solite ipotesi spacciate per indizi e prove, la nuova sentenza sarebbe un “abominio giuridico”. Secondo tutti gli altri direttori dei più importanti quotidiani italiani, invece, è stata riconosciuta finalmente l’onestà del generale Mori (personaggio di elevata statura che non meritava il “mascariamento”) e degli altri compagni di sventura tra i quali l’ex senatore Marcello Dell’Utri.

Sta di fatto che i teoremi della procura palermitana sono crollati di colpo con un sisma tellurico del 9° grado della Scala del Codice Penale. E sono rovinati lungo i corridoi e le scalinate del palazzo di Giustizia in maniera talmente fragorosa da risultare una specie di gioco del domino dove ogni tessera che cadeva si è portata appresso quella successiva. Marcello Dell’Utri è stato, addirittura, l’unico imputato ad essere assolto «per non aver commesso il fatto». Proprio lui, sacrificato perché essendo il solo vicino al presidente Berlusconi era stato indicato quale “contatto”, “basista”, “palo”, “cerniera”, di collegamento tra il fondatore di Forza Italia e il reggente della mafia corleonese!
Il generale Mario Mori, col quale ho avuto la fortuna di sedere, in più occasioni a tavola, senza per questo mai avere abusato della sua conoscenza per acquisire informazioni, e che non sarebbe mai potuto essere un “pungiuto” è stato assolto con la motivazione secondo cui il fatto non costituisce reato. É emerso, senza ombra di dubbi, come il valoroso alto ufficiale dei Carabinieri che arrestò il capo dei capi, Totò Riina, abbia mantenuto un comportamento da Generale Italiano col massimo dell’onestà e la stessa cosa deve scriversi per gli altri ufficiali del Ros, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno.

Come purtroppo accade in Italia chi ha indagato a senso unico e chi ha giudicato e condannato per fini legati a scopi politici contribuendo al sovvertimento della legalità democratica determinata dagli esiti elettorali, non riceverà nessun rimprovero e nemmeno si dovrà preoccupare di nascondere la faccia.
Faccia, anzi facce che sono state, negli anni passati, trionfalmente esibite nei vari salotti televisivi a sostegno delle tesi ora clamorosamente cassate e bocciate. La Suprema corte di Strasburgo, dal canto suo intanto, ha rivolto precise domande all’Italia per conoscere quali siano le ragioni che hanno consentito di processare il cittadino della Repubblica di nome Silvio Berlusconi senza garantirgli i diritti della difesa e applicando persino una legge con effetti retroattivi. Appare dunque con stridente evidenza che attaccare e condannare il siciliano Dell’Utri, uomo vicino a Berlusconi, era il ponte di collegamento per aggredire l’uomo di Arcore, e imputarlo (a fini di mascariamento) di complicità nei due tragici delitti, quelli di Falcone e Borsellino.
Lo scopo finale? Per gli amici che concorrono esternamente (per utilizzare un termine a loro caro) alla salvaguardia della sinistra post comunista, era quello di colpire il centrodestra liberale con a capo Berlusconi per vietare “al più votato presidente del Consiglio italiano – dopo Mussolini – l’esercizio, di democrazia alla Repubblica italiana che appartiene costituzionalmente al popolo d’Italia.
Sorge ancora, spontanea, l’ultima raffica di domande: Chi? Quali? Quando? Come? Dove? … i protagonisti negativi della sceneggiata su cui è calato il sipario, conclusa con la più totale delle sconfitte giudiziarie, pagheranno (materialmente, perché moralmente ne escono accartocciati come fogli da macero) un sia pur minimo tributo per la lesione all’onore degli innocenti e a quello della nostra Repubblica?
Riccardo Colao
Comments