Friday, March 29, 2024
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Gianni Di Marzio: addio all’uomo vincente e ai sogni dei vent’anni

Non allenò mai solo una squadra. Lui era il “coach” (a quel tempo il vocabolo era affibbiato solo ai “mister” delle squadre di basket o di football americano, ma rende bene l’idea) di tutta la città e di tutti i tifosi catanzaresi e calabresi sparsi in Italia e nel mondo.


di Riccardo Colao (direttore del Quotidiano l’Italiano)

ROMA – “Sotto la guida di Di Marzio, ritorneremo in serie A… diridindindì….dirindindindà il Catanzaro in serie A…“. Così si cantava a metà degli anni ’70, a Catanzaro e dintorni, quando i giallorossi del presidente Nicola Ceravolo (l’altro avvocato di fatto del calcio italiano, per differenziarlo da Gianni Agnelli, “avvocato” solo di soprannome) vissero due stagioni esaltanti in serie B e una in serie A.

Dal 1974 al 1977. Anni di grandi emozioni, di vittorie, di sconfitte, di delusioni, di scoperte. Anni di sogni e di speranze.

Chi, come noi, aveva vent’anni non può dimenticarli. Gianni Di Marzio appartiene a quel periodo storico dei catanzaresi che ebbero la fortuna di trascorrere la parte più esaltante della gloriosa squadra calcistica.

Gianni Di Marzio fu per tutti, ma per me in modo particolare “l’Uomo vincente“. Era e rimase il titolo della sua biografia che scrivemmo a quattro mani, vivendo quasi in simbiosi, nella sua abitazione catanzarese, mentre la gentilissima e ammirevole moglie Tucci allattava il piccolo Gianluca, futuro collega giornalista, negli spogliatoi di mezza Italia, nei pullman che conducevano la squadra nelle trasferte meno impegnative in termini di chilometri, nelle lunghe nottate trascorse seduti intorno ad un tavolino degli hotel prima dei match domenicali, mentre lui controllava che nessuno dei calciatori se ne andasse in giro a fare baldoria.

Gianni Di Marzio non allenò mai solo una squadra. Lui era il “coach” (a quel tempo il vocabolo era affibbiato solo ai “mister” delle squadre di basket o di football americano, ma rende bene l’idea) di tutta la città e di tutti i tifosi catanzaresi e calabresi sparsi in Italia e nel mondo.

Di Marzio e la sua grinta a bordo del terreno di gioco durante un match

Dopo la prima stagione conclusasi con lo sfortunato spareggio di Terni dove il Catanzaro diede l’addio alla promozione per l’1 a 0 subito contro il Verona, Di Marzio pretese l’aumento dei posti dello stadio e fece aprire i cancelli durante i lavori per consentire ai tifosi di disporsi sulle gradinate. Poi si spostava al centro del campo e manco fosse stato un direttore d’orchestra agitava le mani per indurli a gridare con quanto più fiato avessero in gola. Voleva rendersi conto di quanto fosse possibile avvicinare le gradinate alla linea di bordo campo e sperimentare il clamore della folla. Era come un’ossessione: per lui sul manto verde si giocava in dodici contro undici e pure contro le “giacchettenere” (gli arbitri e i guardalinee un tempo vestivano a lutto come tanti bacherozzi). Il tifo doveva essere “orchestrato” e diretto perché incitasse i suoi uomini spingendoli a “vincere“. Fu così che nacque il Centro di Coordinamento Catanzaro Club sostenuto dal futuro sindaco catanzarese (ai tempi solo studente universitario in Economia (di più) e Commercio (di meno) Antonio Bevacqua. Le schiere dei supporters dai drappi giallorossi ondeggiavano da uno stadio all’altro di tutto il centro e nord Italia. Nacque a Roma persino un club universitario che raccoglieva (tra matricole, fuoricorso e studenti in regola) migliaia di giovanotti disposti a correre le mille miglia ferroviarie per stare accanto ai propri beniamini. E con gli amici e colleghi goliardi: Pasquale Cardona e Antonio Stanizzi attraversammo in lungo e in largo l’Italia sospinti da un solo grido: “Alé Catanzaro“!

Maradona, la grande scoperta di Gianni DI Marzio che lo indicò al presidente napoletano Ferlaino perché ne acquisisse i diritti del cartellino del fuoriclasse

Gianni Di Marzio non si ispirava ai principi “decoubertiani“. Di partecipare glie ne fregava ben poco. Lui mirava alla vittoria e se proprio rischiava solo di perdere allora considerava buono il pareggio. A suo modo era un Masaniello con accenti sul “dannunziano“. Ardimento e osare, facevano parte del suo linguaggio battagliero. Era un “ardito“, uno che sedeva in panchina col pugnale tra i denti… una specie di Davide che osava sfidare i Golia del calcio… Lui che non aveva avuto una grande (e nemmeno piccola) carriera da calciatore (Un’antesignano Sarri del terzo millennio), concepiva e trasformava le partite in battaglie. Schierava gli uomini come pezzi degli scacchi sulla scacchiera. I suoi cavalli vincenti erano le pedine difensive “incollate” sugli attaccanti avversari (il “purosangue Silipo” ne sapeva qualcosa: “segui il tuo uomo anche quando va a pisciare” lo ammoniva), i suoi alfieri erano le ali veloci e saettanti (come Spelta “lo Jair bianco”, mentre alle torri assegnava il compito di trasformare in gol di potenza o di furbizia (Palanca docet) i cross provenienti da destra o da sinistra.

Uno striscione campeggiava sempre su una delle due curve dell’allora “ex Militare”. “Gianni, la Storia si ripete!“. Il riferimento era all’altro storico allenatore che per primo aveva condotto i “giallorossi del Sud” a tagliare il traguardo dell’Olimpo calcistico: Gianni Seghedoni per l’appunto, volato anche lui nelle praterie calcistiche del cielo infinito.

Gianni Di Marzio, dopo il grave incidente stradale subìto mentre era allenatore del Brindisi, visse e lottò nella sua vita con un solo occhio. Il suo sguardo un po’ strabico e le cicatrici sul volto (risultato di plurimi interventi plastici) erano la testimonianza che nella vita nemmeno i gravi incidenti possono fermare le ambizioni di un uomo se si ha accanto una donna innamorata e se nel cuore si cullano sogni da realizzare.

Di Marzio allenatore del Brindisi prima dello spaventoso incidente stradale che indusse il presidente Fanuzzi a esonerarlo

Scoprì per primo Maradona e lo indicò al presidente Ferlaino perché ne acquisisse i pregi. E ci vide benissimo perché tutti ebbero modo di confermare che aveva trovato l’erede di Pelé. Scoprì tanti altri calciatori, tra questi valorizzò Massimo Palanca, il calciatore del “gol olimpico” e ne aumentò la sua autostima al punto da trasformarlo (lui che aveva il piedino di Cenerentola) in un bomber da piedi d’oro.

Ora che la notizia della sua scomparsa è giunta in redazione per via dell’annuncio di suo figlio Gianluca, quel bimbo che a metà degli anni ’70 vidi bambino in fasce, ora che tanto tempo è trascorso da quegli anni intrepidi che si stagliano quali epoche irripetibili, ora che non potremo più dialogare telefonicamente o rivederci in qualche studio delle emittenti più disparate, dove di tanto in tanto c’era modo di incontrarsi, solo mentre giungiamo al termine di questo triste editoriale “amarcord“, a partire da oggi, ci rendiamo conto di aver perso un amico a cui non potremo che restituire memoria e passione per il mondo del calcio autentico, genuino. Eredità che Gianni Di Marzio lascia a tutti coloro che lo vivono e che continuano ad amarlo!

Riccardo Colao

Il libro biografico scritto da Riccardo Colao sul personaggio Gianni Di Marzio (1976)

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