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60 anni fa moriva suicida Ernest Hemingway. Apoteosi e declino di un genio della letteratura del “900”. I suoi romanzi fecero sognare intere generazioni

Così quel lontano luglio di sessant’anni decise di porre fine alla sua vita. Di Hemingway rimangono le sue opere letterarie, non solo perché fu un uomo scrittore che amò porre in evidenza l’eterna lotta tra l’uomo e la natura ma soprattutto per aver escresso quel fremito di libertà che è insito in ognuno di noi.

By L'Italiano , in Letteratura Rubriche , at 6 Luglio 2021 Tag: , ,

di Giovanna Curone (dalla Redazione Cultura)

Quella mattina del luglio 1960 un vento tiepido agitava le foglie dei sicomori del parco della grande tenuta di Ketchum. Un uomo dal corpo massiccio, il volto incorniciato da una barba bianca ed ispida, varcò la soglia della grande casa e si diresse verso la maestosa quercia posta a pochi metri dall’ingresso dell’abitazione.

Teneva tra le mani un fucile, dietro di lui lo seguiva il fedele cocker Black Jack. Il cane osservò il padrone con preoccupazione perché avvertiva in lui qualcosa di insolito. L’uomo si fermò sotto il sicomoro, imbracciò il fucile e vi pose all’interno l’occhio sinistro. All’improvviso, come se un astronomo si mettesse ad osservare un pianeta rivide nella bronzea canna del fucile tutta la sua vita. Rivide i giorni del suo massimo splendore letterario, la sua immagine riprodotta in tutti i giornali del mondo. Tornò con la mente al dopoguerra, gli anni della massima gloria con il Premio Pulitzer per i suoi servizi come corrispondere di guerra in Normandia. Infine nel 1954 giunse per lui il Premio Nobel. Incredibilmente quel trionfo segnò l’inizio del suo declino. La sua salute a causa soprattutto dell’alcool iniziava a peggiorare sino al punto di commentare così l’ambito riconoscimento: “Potevano darmelo prima, adesso è troppo tardi”. Si ricordò delle impietose stroncature da parte dei critici che non gli avevano mai perdonato di essere un americano anomalo, nel senso che non aveva mai scritto una riga sul suo paese. Un’antipatia ricambiata che lo portò ad affermare: “I critici sono soprattutto i parassiti degli scrittori”.

Quando i ricordi divennero per lui una tenaglia, strinse più forte il calcio del fucile, premette il grilletto e la sua testa esplose. Ernest Hemingway uno dei più acclamati scrittori del “900” giaceva inerte in una pozza di sangue. Da quel tragico giorno sono passati 60 anni, un tempo immenso per una società proiettata verso il digitale a scapito della scrittura. Giorni addietro osservavo alcune foto del grande romanziere: Hemingway seduto alla scrivania, la macchina da scrivere, i fogli degli appunti, gli occhiali, dietro i quali si intravedevano quegli occhi magnetici, capaci, come raccontano coloro che lo conobbero di imprimere nella memoria un volto, un sospiro, uno stato d’animo  e di inserirlo in un romanzo anni dopo. Hemingway cacciatore, pescatore, frequentatore della Plaza de Toros in Spagna da cui trasse il celebre romanzo “Morte nel pomeriggio”, dove torero e toro sono carnefice e vittima. Oggi nel XXI secolo ci chiediamo quanto è attuale la letteratura di Hemingway.

Per quanto riguarda il passato, in un epoca anelante di libertà con i suoi libri fece riflettere intere generazioni. La vita e la morte, il coraggio dei personaggi descritti nei “Quarantanove racconti” e nelle “Verdi colline d’Africa” fecero volare con la fantasia milioni di lettori imprigionati nel quotidiano. Ma Hemingway non fu solo uno scittore epico: quando nel 1929 pubblicò “Addio alle Armi”, il romanzo autobiografico, dove si racconta la malinconica storia d’amore tra un volontario della crocerossa americano sul fronte italiano durante La Grande Guerra e un’infermiera, il libro in Italia fu proibito in quanto considerato offensivo per l’esercito italiano. “Addio alle Armi” riveste una particolare importanza nell’opera letteraria dello scrittore americano in quanto ebbe un seguito che segnò il declino di Hemingway come autore e soprattutto come uomo, parliamo di “Al di la del fiume e tra gli alberi”. Il romanzo, pubblicato nel 1957 e ambientato in Friuli e a Venezia, narra il viaggio a ritroso nel tempo del vecchio generale americano Richard Cantwell di stanza in Friuli. Il militare, intraprende un viaggio verso Venezia alla ricerca del tempo perduto. Passeggia sulle sponde del fiume Natisone e si ferma a contemplare le acque del fiume Stella, dove molti dei suoi commilitoni persero la vita. Giunto a Venezia incontra una giovane nobildonna e se ne innamora. Incredibilmente, vista la differenza d’età anche Renata la protagonista lo ricambia, ma poi il vecchio soldato capisce che si tratta di un amore impossibile e decide di tornare in America. Sulla via del ritorno, mentre è impegnato alla caccia alle anatre viene colpito da un infarto e muore, nei pressi del luogo dove si trova un cimitero dei caduti americani. Tutto nel libro gira intorno ad una fine preannunciata, tutto è già concluso. Qualcuno osservò che “Al di la del fiume e tra gli alberi” poteva essere considerato il testamento spirituale di Hemingway il suo una visione della sua imminente fine cruenta. Il libro fu stroncato dalla critica. Un giornalista europeo scrisse “Al di la del fiume e tra gli alberi è un romanzo affascinante per la sua bruttezza!” Gli anni successivi segnarono il calvario di Hemingway scrittore ed uomo. Ormai stravolto dall’alcool, perseguitato dall’F.B.I. che lo avevo bollato come comunista per via della simpatia dimostrata nei confronti della rivoluzione castrica passò i suoi ultimi anni in diverse cliniche dopo che alcuni suoi tentativi di suicidio erano andati a vuoto. Dell’autore de “Il Vecchio e il mare”, da cui fu tratto l’ononimo film e dove si racconta la lotta di un pescatore contro gli squali che vogliono divorare il marlyn da lui fiocinato, rimaneva solo un ricordo. Così quel lontano luglio di sessant’anni decise di porre fine alla sua vita. Di Hemingway rimangono le sue opere letterarie, non solo perché fu un uomo scrittore che amò porre in evidenza l’eterna lotta tra l’uomo e la natura ma soprattutto per aver escresso quel fremito di libertà che è insito in ognuno di noi.

                                                                                               Giovanna Curone

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