Mia Martini, un talento e una carriera rovinati dalla maldicenza e culminati in un giallo che ancora indigna
di Mary Maria Mazza 26 anni fa moriva Mia Martini A 26 anni dalla scomparsa, la voce, l’anima e la…
di Mary Maria Mazza
26 anni fa moriva Mia Martini
A 26 anni dalla scomparsa, la voce, l’anima e la bellezza di Mimi ( Mia Martini) sono ancora forti e presenti in tutti quesi anni. E restano tante le ipotesi su quanto accaduto il 12 maggio 1995.
Mia Martini è stata, è e sarà per sempre non soltanto una delle voci più straordinarie ed emozionanti della nostra musica ma anche una delle anime più belle che il pubblico abbia mai avuto la fortuna di incontrare, di conoscere.
È il 12 maggio 1995 quando la vita di Mimì si interrompe bruscamente, a soli 47 anni, lasciando tristezza e dolore
Noi de l’italiano pubblichiamo uno struggente commento della nostra redattrice Mary Maria Mazza”.
La redazione
di Mary Maria Mazza
12 maggio 1995 Cardano al Campo (Varese).
Sono passati ventisei anni dalla scomparsa di Mia Martini, grande artista calabrese, ma ancora oggi rimangono oscure le cause del suo decesso.
La sua morte è ancora avvolta nel mistero.
Andiamo con ordine: in un primo momento si pensò a un suicidio! Per le circostanze della morte e la sua storia professionale e personale, non escluso le dicerie che avevano compromesso e bloccata la sua brillante carriera per anni da una stupida superstizione e pregiudizi.
Questa diceria nacque nei primi anni settanta, quando un impresario le propose un contratto a vita con lui, ma l’artista la rifiutò!
Iniziò così l’incubo che l’avrebbe accompagnata per tutta la vita con la diceria di portatrice di jella.
Comunque alcune circostanze sembravano dar ragione a queste diceri: al rientro da una tournee ci fu un incidente dove persero la vita due orchestrali e l’impresario risentito dal quel rifiuto della cantante per la mancata firma sparse la voce che era stata colpa della jella, presuntemente portata da Mimì.
Da quel momento in poi qualsiasi evento negativo si verificasse nel mondo dello spettacolo veniva attribuito alla cantante e questo motivo molte trasmissioni iniziarono ad evitarla, tra cui anche la Rai non mandava più in onda le sue canzoni. I discografici rifiutavano le sue canzoni, i colleghi prendevano le distanze da lei e i giornali iniziarono a pubblicare foto degli spartiti di Mimì sanguinanti. Tra i primi a dire che portava jella furono anche illustri colleghi come Patty Pravo, Fred Bongusto e l’amico Gianni Boncompagni.
In un ambiente scaramanticocome quello della musica fu sufficiente per buttare fango a uno dei più grandi pilastri della canzone italiana. Inizialmente questa diceria, come aveva ammesso la stessa cantante sembrava inoffensiva, un “gioco fastidioso”, tanto che anche lei ci scherzava sopra, ma nei dieci anni successivi quel gioco diventò un’evidente drammatica superstizione: fu emarginata da tutti, persino Gianni Ravera non la volle a Saint Vincent e nonostante il grande amore per la sua musica.
Fu così che nel 1983 decise di interrompere la sua carriera e di dare l’addio alle scene.
La fama di iettatrice ormai aveva preso il sopravvento tanto da ostacolare il suo grande talento, come se a nessuno interessasse più di quella voce magnetica, dolce, scura ed emozionante.
“La mia vita era diventata impossibile. Qualsiasi cosa facessi era destinata a non avere alcun riscontro e tutte le porte mi si chiudevano in faccia. C’era gente che aveva paura di me, che per esempio rifiutava di partecipare a manifestazioni nelle quali avrei dovuto esserci anch’io. Mi ricordo che un manager mi scongiurò di non partecipare a un festival, perché nessuna casa discografica avrebbe mandato i propri artisti. Eravamo ormai arrivati all’assurdo, per cui decisi di ritirarmi”.
L’artista dal timbro di voce potente, dopo lunghi anni di silenzio ritornò sul palco di Sanremo ad incantare la platea con un brano inedito scritto da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio “Almeno tu nell’Universo” conquistando il premio della critica che in seguito alla sua morte sarà denominato Premio della critica Mia Martini, che si susseguirono a tantissimi successi: “Gli uomini non cambiano”, “La nevicata del 56”, “Donna” e “Cu’mmè”, brano duettato con Roberto Murolo ed Enzo Gragnaniello, ma non bastarono a rimarginare i segni della cattiveria subìta per anni.
E’il quattordici maggio del 1995 quando il corpo senza vita della cantante viene trovato disteso sul letto con le cuffie del walkman alle orecchie mentre ascoltava la sua musica e con un braccio teso verso il telefono com e a cercare aiuto. Per la Procura di Busto Arsizio non ci furono dubbi: si era trattato di suicidio per overdose di cocaina, ma non per le sorelle che hanno sempre smentito.
Si ipotizzò anche che la sua morte fosse stata causata per un fibroma all’utero, di cui la cantante soffriva da anni e che si era rifiutata di operarsi per paura che la sua voce con la quale aveva emozionato il suo pubblico potesse modificarsi. Per questo motivo assumeva farmaci anticoagulanti.
Un’altra ombra che ha sconvolto tutta l’opinione pubblica è stata la rivelazione delle sorelle, che hanno affermato che il corpo di Mimì era pieno di lividi, il che fece pensare a una discussione violenta con il padre padrone.
E poi perché far cremare il corpo subito dopo il funerale senza dire nulla a nessuno? Un mistero nel mistero, cosa è successo in quell’appartamento ventisei anni fa?
Chi ha ucciso Mia Martini?
Una cosa è certa quella voce raffinata è stata messa a tacere dai suoi colleghi che con la loro cattiveria hanno contribuito alla sua morte. Bellissimo il ricordo di Mina “Per fortuna il suo talento dolente e intenso è rimasto qui, nei suoi dischi” e quello di De Andrè “Innamorato della sua arte e della sua umanità”. Nel mondo dello spettacolo la vicenda di Mia Martini grida vendetta e non è stato un caso isolato, fece scalpore anche quello di Iolanda Cristina Gigliotti in arte Dalida, simile dicerie il cui pretesto fu i suicidi di tre dei suoi ex compagni, tra cui quello del cantautore Luigi Tenco, fino ad arrivare negli anni novanta quando un critico scrisse su un giornale che un giovane si era suicidato perché ascoltava le canzoni di Marco Masini, testi non spensierati, quindi l’artista toscano portava jella.
Le grandi voci: Mia Martini
(Estensione versatilità, tecnica, interpretazione)
La carica emozionale caratterizza in modo molto personale i brani interpretati da Mia Martini. La critica è stata concorde nel riconoscere il talento e la grande versatilità vocale di Mia Martini, soprattutto negli ultimi anni della carriera.
La versatilità della voce
L’ intera carriera di Mia Martini testimonia di una vocalità multiforme e capace di modificarsi con l’evolversi della tecnica e degli interessi musicali. All’inizio degli anni Sessanta, con il nome di Mimì Bertè, venne scelta da Carlo Alberto Rossi per incarnare le illusioni e la voglia di vivere della generazione di adolescenti che stava progressivamente diventando il nuovo punto di interesse dei discografici. Aveva poco più di quindi anni e la sua voce squillante, ma priva di particolari sfumature, confrontava con motivetti di scarse pretese come “E adesso che abbiamo litigato” o “Il magone”. L’ immagine era quella di una delle tante protagoniste “usa e getta” di un genere, il cosiddetto yè yè, destinato a tramontare rapidamente per lasciare il posto a nuove musicalità filtrate dall’irrompere prepotente sulla scena musicale dell’esplosiva esperienza del rock. L a caratteristica dei cantanti di questo genere era la loro sostanziale intercambiabilità: volto da adolescente ribelle ma non troppo, un filo di trucco, una tecnica in base ai limiti della sufficienza, il tutto accompagnato da arrangiamenti leggeri e ritmati. Non erano in molti a scommettere sul futuro di questa ragazzina, tanto che nessuno si sorprese della sua rapida scomparsa dalle scene. In realtà il silenzio il silenzio nascondeva un periodo di studio destinato a determinare una vera e propria rivoluzione vocale e interpretativa. Al Festival d’Avanguardia e Nuove Tendenze di Viareggio, nel 1971, pochi riconobbero in quella Mia Martini che, accompagnata da una solida formazione rock costruita attorno al batterista inglese Gordon Faggetter, aveva entusiasmato pubblico e critica, la stessa Mimì Bertè sbarazzina e spensierata degli anni Sessanta. Dal bozzolo dell’adolescente impacciata era nata una nuova farfalla, con una gestualità provocatoria e una voce ricca di sfumature, estremamente duttile e capace di interpretare efficacemente le inquietudini delle giovani generazioni di quegli anni. L’album
OLTRE LA COLLINA è ancora oggi una straordinaria testimonianza di come la sua vocalità potesse essere il punto d’incontro tra generi e tecniche diverse, portando a sintesi l’esperienza del rock, del rhythm and blues e della musica leggera italiana.
I suoi sporchi e il linguaggio provocatorio di brani come “ Padre davvero” o “Amore…amore…un corno!” si mescolavano con la limpida vocalità di canzoni come “Gesù è mio fratello”. Determinante in questa evoluzione fu anche la collaborazione con il quartetto nero dei Four Kents che parteciparono alla registrazione dell’album.
Da quel momento iniziò un ulteriore processo di crescita, destinato a portarla rapidamente al vertice delle classifiche.
Svestiti progressivamente i panni della provocazione, si trasformò in un’interprete di classe di brani sempre più impegnativi. Più del mutevole consenso del pubblico, i premi della critica, raccolti in grande quantità soprattutto negli ultimi anni della sua lunga e tormentata carriera, stanno a dimostrare il talento e la grande versatilità vocale di quest’artista cui non fecero mai difetto né il coraggio di rinnovarsi, né la caparbietà.
L’estensione vocale
La capacità della voce di Mia Martini di misurarsi con salti di tono piuttosto impegnativi non è sorretta da una grandissima estensione naturale anche se le tre ottave sono tranquillamente alla sua portata. Essa è piuttosto da ricercarsi nell’abilità di migliorare le sue già buone dote di fondo con lo studio e l’applicazione, a dimostrazione di come lo strumento voce sia un meccanismo duttile e suscettibile di grandi progressi. L’urlo blues strozzato e angoscioso delle sue prime interpretazioni degli anni Settanta diventa, con il procedere della carriera, un acuto grintoso sostenuto da un’emissione di notevole potenza e da un eccellente vibrato.
La tecnica vocale
Trascurando per ovvie ragioni d’inconsistenza musicale, il periodo adolescenziale dei primi cimenti artistici, dal punto della tecnica vocale la carriera di Mia Martini può essere divisa in due momenti fondamentali. Il primo, rappresentato dall’album OLTRE LA COLLINA, è quello nel quale prevale la scelta di dare colori del blues alle melodie del nascente rock italiano. In questo periodo la sua voce affronta in modo diretto, senza l’addolcimento del vibrato, le spigolosità dei brani che interpreta. Il suo rapporto con la musica e il testo delle canzoni è diretto e di grande drammatizzazione. La voce, carica d’emozione, si fa roca sulle tonalità basse e, quando l’interpretazione lo richiede, sa diventare un urlo inquietante sui toni alti. Già in “Piccolo uomo”, però, non è più così. Il vibrato inizia a sostenere la potenza dell’emissione e la voce incrementa la gamma delle proprie sfumature. Le variazioni improvvise di volume, l’uso misurato della potenza diventano, con il passare degli anni, una caratteristica costante dell’interpretazione, anche se si nota una certa riluttanza a modificarne la personalità timbrica. Mia Martini resta sempre se stessa. Come le grandi cantanti jazz, non usa la tecnica vocale per adattarsi alle esigenze dei brani interpretati, ma, al contrario, attinge al proprio patrimonio di conoscenze musicali per disarticolarli e farli diventare parte di sé. Esemplare, a questo proposito, è l’album MIEI COMPAGNI DI VIAGGIO, nel quel riesce a dare una nuova e originale personalità a canzoni famosissime di grandi autori internazionali.
L’interpretazione
Mia Martini sembra parlare attraverso la musica. La sua intensità interpretativa dà vita alle canzoni e le fa diventare parte di una serie di messaggi lanciati al suo pubblico. Sono segnali di grande sofferenza interiore che, soprattutto negli ultimi anni, Mia non tenta di nascondere e che diventano una parte importante delle sue caratteristiche artistiche. La sua vita, segnata da tradimenti, da incredibile persecuzioni ed esclusioni, entra di prepotenza nei canoni interpretativi conferendo loro una drammatica palpabile. La rutilante gestualità che ha supportato le interpretazioni dei primi anni della sua carriera si trasforma con gli anni in un atteggiamento più sobrio e ricco di quella eleganza e dignità che rendono grandi le persone che, pur soffrendo, non vogliono fare del proprio dolore una bandiera. Tutto ciò aggiunge intensità alla sua interpretazione che, ridotta la gestualità al minimo, trova nella voce e nell’espressione del viso un canale privilegiato di comunicazione con il pubblico.
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