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Natale Luzzagni: «Credo negli autori che sanno emozionare senza scadere in facili formule di rito»

É un critico d’arte, un editore ed un saggista ed è alle prese di recente con la promozione del suo ultimo libro: “Parola solenne. Dialoghi e visioni nel cinema di Elio Petri”, stiamo parlando del prolifico scrittore oltre che editore Natale Luzzagni. L’intervista.

By L'Italiano , in Cronaca Italiana Letteratura Spettacolo , at 13 Dicembre 2021 Tag: , , , , ,

Intervista di Clelia Moscariello per il Quotidiano l’Italiano

«Credo negli autori che sanno emozionare senza scadere in facili formule di rito»

É un critico d’arte, un editore ed un saggista ed è alle prese di recente con la promozione del suo ultimo libro: “Parola solenne. Dialoghi e visioni nel cinema di Elio Petri”, stiamo parlando del prolifico scrittore oltre che editore Natale Luzzagni. L’intervista.

É un critico d’arte, un direttore editoriale ed un saggista ed è alle prese di recente con la promozione del suo ultimo libro: “Parola solenne. Dialoghi e visioni nel cinema di Elio Petri”, stiamo parlando del prolifico scrittore oltre che editore Natale Luzzagni.

Natale Luzzagni nasce a Padova il 18 gennaio 1969, si specializza in grafica editoriale come impaginatore e progettista di linee editoriali per libri e riviste.

Durante gli anni ’90 Luzzagni diventa caporedattore del trimestrale “La Nuova Tribuna Letteraria”, testata creata dal padre Giacomo Luzzagni, nella quale lo scrittore, a parte il suo occuparsi della gestione grafica, fonda anche rubriche di arte dove fornisce ai lettori approfondimenti monografici su artisti delle arti figurative del passato.

Dal 2009 in poi, Luzzagni con l’amico e collaboratore Stefano Valentini, è alla guida della testata “La Nuova Tribuna Letteraria” e acquisisce inoltre la direzione della casa editrice Venilia.

Natale Luzzagni

Luzzagni nel periodo tra il 2016 e il 2017 esce per Venilia con due successive edizioni di “Tanto vale vivere”, volume che riunisce in una rassegna i casi di suicidio nel campo letterario.

Nel 2019, l’autore pubblica ancora “La grande illusione. Il tema dell’evasione nel cinema” sempre per la Venilia Editrice, opera che ha per oggetto una ampia raccolta di film la cui sceneggiatura contiene la fuga da un luogo di detenzione istituzionale.

Oltretutto, nel 2020, Natale dà vita al gruppo Facebook “Ciné – Racconti di cinema”.

Luzzagni, infine, nel luglio 2021 pubblica “Parola solenne. Dialoghi e visioni nel cinema di Elio Petri” ancora con la sua casa editrice, la Venilia Editrice, testo che ripercorre la carriera cinematografica del famoso regista romano oltre che i testi ed i documenti inerenti ai suoi undici lungometraggi.

  1. Ciao Natale, sei un saggista, un critico d’arte, un direttore editoriale, quale ruolo professionale senti soggettivamente ti calzi a pennello e per quale motivo?

Per indole ho bisogno di diversificare le mie attività. La scrittura è una passione che coltivo da sempre. Oggi la accompagno al piacere e al gusto della ricerca, una dimensione che mi permette di allargare i confini del mio immaginario. Scrivo di pittura, letteratura e cinema sostenuto dallo stimolo di una curiosità quasi fanciullesca. In realtà, il contesto che mi è più congeniale è quello della “scrittura emotiva”, elemento che scaturisce quando si racconta di sé e del proprio mondo interiore. Forse, e lo dico con molta umiltà, sarà questa la missione futura che mi ‘calzerà più a pennello’”.

  • Hai ereditato intellettualmente da tuo padre, il giornalista e poeta Giacomo Luzzagni, tra le altre cose, la testata La Nuova Tribuna Letteraria. Che eredità spirituale ed intellettuale ritieni che ti abbia lasciato tuo padre in toto e come la hai vissuta e la stai vivendo tu?

“Mio padre era un uomo ‘libero’. Sapeva raccogliere le opinioni da più fonti e non era condizionato da particolari pregiudizi. La sua autorevolezza corrispondeva alla capacità di costruire delle personali visioni senza negarsi la possibilità di ascoltare visioni alternative. Era intellettualmente ‘accogliente’, credeva nella possibile convivenza di posizioni ‘distanti’. Insieme ad una passionalità sanguigna, questa e la migliore eredità che mi ha lasciato. La rivista e l’attività editoriale raccolgono in pieno questo spirito”.

  • Cosa significa dirigere una rivista letteraria oggigiorno ma soprattutto cosa significa essere intellettuali nella società odierna?

“Vuol dire soprattutto non badare alla convenienza economica, rispettare le esigenze dei lettori, individuare e curare gli approfondimenti, credere al peso e al valore delle parole. Il ruolo sociale della cultura è sempre quello di invitare alla riflessione, di mostrare la dimensione sterminata dei meccanismi interpretativi. Una rivista, come un testo di saggistica, deve offrire argomenti trattati col rigoroso ricorso a fonti precise, ma aperti ad una vasta gamma di prospettive analitiche”.

  • Come critico d’arte quale aspetto ti colpisce di più nella figura di un artista e cosa dell’arte in generale?

“L’artista è un assemblatore di aspetti reali o immaginifici. I confini tra vero e verosimile restano sempre molto sottili. Ennio Flaiano sosteneva che «solo la verità contiene abbastanza fantasia». L’artista è colui che modula in modo originale le infinite soluzioni della forma, dando alla sua “verità parziale” una traccia di ‘infinito’. L’arte è esattamente questa aspirazione alla solennità di un messaggio universale”.

  • Jean Cocteau ha affermato ne “La difficoltà di essere” del 1947 che “I critici giudicano le opere e non sanno di essere giudicati”. Come vivi tu il tuo ruolo e la tua funzione e cosa ami di più di questa professione?

“Quella del critico è sempre una prospettiva parziale. Talvolta è una magnifica incursione tra i significati più reconditi, ma resta un’operazione che non esaurisce tutte le possibili definizioni. Carlo Cassola, a proposito dell’interpretazione poetica concludeva: «La poesia è un insufficiente commento alla vita e la critica un insufficiente commento alla poesia». C’è da dire che oggi il ricorso alla cultura “sintetica” rende necessaria una conoscenza parziale e superficiale di opere che richiederebbero studi faticosi ed articolati. Conosco autori di recensioni che esprimono giudizi sfogliando i libri distrattamente e contando sulle proprie improvvisazioni dialettiche”.

  • Hai scritto un libro intitolato “Tanto vale vivere. Breve rassegna sui casi di suicidio nel mondo letterario” edito dalla casa editrice Venilia, perché hai considerato l’idea di raccogliere i casi di suicidio nel mondo letterario e quale è analogia dal punto di vista letterario che hai trovato tra tutti questi casi?

“L’ho fatto perché mi incuriosiva il tema e per trovare un modo di ‘far rivivere’ figure spesso bollate come ‘anime inquiete’ o ‘troppo fragili’, incapaci di resistere alle bufere della vita. Nessuno prima di me aveva riunito così tante figure appartenenti alla letteratura mondiale. Ogni nazione aveva celebrato i propri ‘suicidi’ senza occuparsi di altre morti in giro per il mondo. Si tratta di storie diverse, avvenute in circostanze e contesti storici particolari. Il denominatore comune è un ‘male di vivere’ che pareva non conciliarsi con nessuna ‘consolazione’ esistenziale. Le analogie letterarie sono rappresentate da una profonda sensibilità nel cogliere gli umori e i rumori della vita. Ma, sia ben chiaro, per uccidersi, è necessario sempre avere un coraggio smisurato e tutti i suicidi meritano un silenzioso e totale rispetto”.

  • Quale è la missione della casa editrice Venilia e come ti cali tu nel ruolo di editore?

“Una piccola casa editrice deve individuare autori meritevoli della pubblicazione e conciliare la promozione artistica con le complicate logiche del commercio. La distribuzione segue logiche perverse e distorte. Le librerie indipendenti soffrono di fronte alla abitudine dei (pochi) lettori di acquistare on line. Oggi anche vendere qualche centinaio di copie di un libro è un’impresa titanica, ulteriormente resa eroica dalla situazione pandemica”.

  • “Scrivere è un’occupazione solitaria. Avere qualcuno che crede in te fa una grande differenza” ha dichiaratoStephen King in On Writing del 2000. Tu quanto credi nelle nuove leve della letteratura attuale?  Esistono autori sui quali vale davvero investire tempo e denaro?

“Si tratta di un mercato molto inflazionato. Molti autori meritevoli restano nell’anonimato più buio. Le piccole case editrici non possono fare grandi investimenti, quelle medio-grandi seguono la logica della convenienza scommettendo, magari, su personaggi che sono già ‘in vista’ di fronte al grande pubblico per altri talenti (sport, tv, cinema, spettacolo, …). Il criterio del merito esiste ancora, ma spesso viene disatteso a vantaggio di operazioni utilitaristiche di cui beneficiano i ‘soliti noti’.

  • Esiste, invece, una costante che tu come editore noti negli scrittori emergenti in qualità di talent scout e se sì quale?

“Molti autori seguono l’onda lunga di generi apparentemente vincenti (gialli, polizieschi, fantasy, romanzi distopici, saghe sentimental-erotiche, …). Per promuovere un autore servono investimenti e quasi nessuno asseconda la necessaria lungimiranza se sa di rischiare del denaro. Il terreno è minato dalla logica delle ‘conoscenze influenti’ che contano a dispetto dei meriti reali. Personalmente credo negli autori che sanno emozionare senza scadere in facili formule di rito”.

  1. Nel 2019 è uscito “La grande illusione. Il tema dell’evasione nel cinema”, ancora per la Venilia Editrice, libro che raccoglie un’ampia rassegna di film in cui la fuga da un luogo di detenzione istituzionale costituisce un elemento marginale o centrale della sceneggiatura. Nel 2021 esce, invece, “la Parola solenne. Dialoghi e visioni nel cinema di Elio Petri” ancora per la Venilia Editrice.  Cosa ti appassiona del linguaggio cinematografico come critico e come spettatore?

“Il cinema, come ogni altra forma d’arte, è un terreno sterminato, un universo infinito in cui ci si deve muovere con circospezione. I film sono il risultato di un lavoro di sintesi. Nascono da un’idea cui segue un complesso lavoro di scrittura. Alle due ore di una pellicola pronta per il grande schermo ci sono mesi di riprese e un decisivo lavoro di montaggio. L’aspetto più affascinate sta nella combinazione tra immagini, dialoghi e musiche. Ci sono film che restano memorabili anche solo per una scena o per la scelta azzeccata di un accompagnamento musicale. La magia del cinema sta nella possibilità di regalare una percezione profonda che lo spettatore porta per sempre con sé. Come critico scopro, giorno dopo giorno, che è possibile rinnovare la sensazione di aver scoperto (o riscoperto) una suggestione capace di farmi rimanere incollato allo schermo in un totale stato di sospensione come se nulla potesse turbare la mia attenzione”.

  1. Il tuo ultimo libro, “La Parola solenne. Dialoghi e visioni nel cinema di Elio Petri” è stato definito come “un volume che getta luce nuova sul lavoro di Petri noto per la costruzione minuziosa e laboriosa della sceneggiatura, per la maniacalità delle inquadrature, l’uso intelligente della musica”.  Perché hai scelto di scrivere un libro che ha come tematica il cinema di Elio Petri?

“Petri, come mio padre, era un uomo ‘libero’. Ha scelto di seguire la sua visione artistica ad ogni costo, scontentando anche la parte politica da cui proveniva. Ha realizzato solo undici lungometraggi in una carriera di regista cinematografico durata un ventennio (1961-1979) che gli hanno permesso di vincere un Oscar e un Grand Prix a Cannes. Per capacità di scrittura, originalità, lungimiranza e padronanza nelle tecniche di ripresa merita ben più di quanto io gli abbia dedicato”.

  1.  Nel tuo ultimo libro si parla anche e forse soprattutto della costruzione dei dialoghi di Elio Petri come sceneggiatore e del suo ruolo rispetto alla censura negli “Anni di piombo”. Perché va assolutamente ricordato Elio Petri e cosa avrebbe fornito intellettualmente e politicamente come valore aggiunto alla nostra cultura italiana la sua figura?

“Petri ha colpito le logiche del Potere inscenando quella che Alfredo Rossi individua come la “carnevalizzazione” della scena. Ha mostrato gli effetti della cultura “paternalistica” e le afflizioni dell’uomo moderno (il ‘patiens’ che paga il prezzo dei modelli borghesi attraverso esplosive deviazioni nevrotiche) rispetto alla società dei consumi. Ha messo in scena la natura corruttibile e perversa delle logiche politiche fino a mostrane tutta la sgradevolezza nelle cupe tinte di ‘Todo modo’ (1976). Ha coniugato il cinema come fenomeno popolare con l’ambizione di fornire allo spettatore gli strumenti per una compiuta capacità critica rispetto alla cultura di massa”.

  1. La classe operaia va in Paradiso” è un film cult che è valso ad Elio Petri, come tu racconti nel tuo libro, oltre a tanto clamore positivo ed oltre alla consueta lotta con la censura italiana di quegli anni anche l’antipatia da parte di una certa ala della sinistra. Come mai questo film avrebbe causato tante polemiche, secondo te, a distanza di tanti anni e cosa avrebbe fatto arrabbiare dello stesso?

“La sinistra radicale non perdonò a Petri di avere rappresentato la lotta operaia attraverso l’incursione nella dimensione privata del protagonista. L’ortodossia critica pretendeva che ogni istanza fosse a favore della lotta ad oltranza contro il padronato senza indagare le storie personali o sottolineare le contraddizioni dei metodi di lotta. Petri volle privilegiare i disagi interiori di un operaio stretto tra le prepotenze del profitto aziendale e le aspettative piccoloborghesi nella sua realtà domestica. Petri fu vittima della censura perché nella sua ‘teatralizzazione’ dei conflitti personali utilizzava linguaggi ed estremizzazioni sceniche che meglio rappresentassero la sua vena dissacratoria. Questo comportò anche una forma di ‘censura produttiva’ perché fu sempre più complicato trovare il modo di finanziare progetti carichi di una dirompente forza eversiva. Furono numerose le sceneggiature di Petri che non videro mai la luce e rimasero nei cassetti della sua scrivania romana”.

  1. Si è detto di Elio Petri che le sue opere siano state “scorrettissime e poetiche, caustiche e struggenti, ed abbiano offerto prove interpretative superbe”, tu sei d’accordo con questa affermazione? Perché assolutamente va ricordato Elio Petri?

“Come già accennato Petri era un artista ‘libero’, incorruttibile. Era così fedele alla sua linea di pensiero da respingere ogni mediazione. Il ricorso all’estremizzazione interpretativa e alla maniacale cura delle sceneggiature è il nucleo fondante di un’idea cinematografica che sottende il costante ricorso alla dimensione psicologica. In questo Petri era un prodigio di lungimiranza e modernità”.

  1. Elio Petri, nonostante la sua militanza politica nel Partito comunista avrebbe sempre evitato di fare propaganda attraverso i suoi film. Quanto è stata premiata questa sua scelta dalla società italiana?

“Come indicava bene Carlo Lizzani la grande colpa del PCI fu quella di non aver mai creato una vera e propria struttura alternativa per produrre e promuovere certi prodotti cinematografici. Petri rimproverava a Togliatti di aver assecondato e sostenuto una cultura ‘paternalistica’ in cui l’individuo è sempre assoggettato alla figura di un padre che deve approvare, classificare e assolvere le presunte colpe. In questo modo nessuno è veramente ‘libero’ di costruirsi una vera coscienza sociale e ‘sessuale’”.

  1. Elio Petri ha dichiarato prima di morire “Nell’ultimo periodo della mia vita, io ho fatto film sgradevoli. Sì, film sgradevoli in una società che ormai chiede la gradevolezza a tutto, persino all’impegno: se l’impegno è gradevole, e quindi non dà fastidio a nessuno, lo si accetta. Altrimenti no. I miei film, al contrario, oltrepassano addirittura il segno della sgradevolezza”. Quanto pensi che sia stato punito per questa caratteristica della “sgradevolezza” dalla cultura italiana?

“La dichiarata ‘sgradevolezza’ espressiva è in piena linea con un’idea di cinema eversiva e straniante. Per Petri fare del cinema uno strumento ‘popolare’ voleva dire rimodulare i fondamenti della coscienza civile, mettendo a nudo il paternalismo e la nauseante retorica della cultura catto-clericale e l’immobilismo di un certo vetero-comunismo. Petri rimase stritolato tra le morse delle opposte macro ideologie”. 

  1. Infine, quale aspetto inedito di Elio Petri pensi il lettore possa trovare nel tuo ultimo libro?

“Altri libri si sono occupati di Petri prima di me e sono tutti ottimi testi. Quello che ho cercato di realizzare è un lavoro di ‘collegamento’ tra le capacità letterarie di Petri, il fascino dei suoi apparati scenografici e la genesi dei progetti cinematografici. Nel mio libro le parole di Elio (citate dai tanti documenti raccolti) galleggiano in un mare sterminato di talento dialettico e di sagacia creativa, due tra i meriti più evidenti di un artista unico che, oggi più che mai, vale la penna di riscoprire”.

Clelia Moscariello

Natale Luzzagni

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