Addio per sempre, Palermo mio (forse)
Un eccezionale racconto dello scrittore e giornalista Benvenuto Caminiti nel quale esplode la sua passione rosanero ma anche per il…
Un eccezionale racconto dello scrittore e giornalista Benvenuto Caminiti nel quale esplode la sua passione rosanero ma anche per il calcio e per lo sport
di Benvenuto Caminiti – da Palermo
Tutto cominciò alla fine degli anni quaranta, quando io ero ancora un mocciosetto impiccione, che metteva in naso dappertutto. Specialmente su quel quadernetto dalla copertina nera zigrinata, sul quale ogni giorno, per ore, si accaniva a scrivere mio fratello Vladimiro, nove anni più grande di me.
“Chissà cosa scrive su quel quaderno, di tanto misterioso, da chiuderlo a chiave nel cassetto della scrivania?”.
E l’ansia di svelare quell’arcano mi divorava come un tarlo…
Finché, tra i tuoni e lampi di una mattinata d’inverno, Vladimiro chissà come e perché, finito di scrivere, dimenticò di chiudere a chiave quel cassetto. E, subito dopo, indossò al volo quel suo trench blu e uscì.
Neanche il tempo di sbattere la porta che io ero già seduto alla sua scrivania… Me lo ricordo come fosse ieri, e invece sono passati più di settant’anni.. Aprii quel cassetto e il cuore mi batteva forte. Non ci fu bisogno di accendere la luce perché lampi a ripetizione illuminavano la scena: col quaderno fra le mani, ebbi un istante – solo un istante – di esitazione, poi cominciai a sfogliarlo e…
… E, pagina dopo pagina, mi sentii tirato dentro un modo fiabesco nel quale mi trovai subito a mio agio, come già lo conoscessi e invece era la prima volta che leggevo di pali e traverse, di gol e voli plastici, di fughe e arrivi solitari…
Insomma, di calcio e di ciclismo.
Calcio e ciclismo che Vladimiro ascoltava alla radio, erano solo notizie scarne di partite di campionato o radiocronache dell’arrivo dl Giro d’Italia o del Tour de France (“Un solo uomo è al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è… Fausto Coppi”, tuonava la voce inconfondibile di Mario Ferretti) sulle quali mio fratello imbastiva lunghi articoli brulicanti sogni e fantasia, con una scrittura così fascinosa da incantare fino al rapimento un bimbetto di soli sette anni come me. Ma Vladimiro era nato giornalista, andava ancora liceo quando s’inventò un giornale tutto suo, pieno di articoli di sport che erano soprattutto favolosi racconti di vita. E io me ne innamorai perdutamente : Coppi e Bartali, Vycpalek e Bronée furono i miei primi eroi del favoloso “REGNO DELLO SPORT”, e il merito di tanta grazia era lui, mio fratello, che li raccontava come fossero i miti invincibili di R.L. Stevenson o di Emilio Salgàri.
Fu lui, Vladimiro, che coi suoi racconti “mitologici” mi instillò, come un virus, il bacillo del Palermo, che io già amavo senza averlo ancora mai visto all’opera. E mi dannavo ogni giorno a supplicare mio fratello, che già collaborava come praticante a “Sicilia del Popolo”, a portarmi con sé allo Stadio: “Sei troppo piccolo ancora, e poi io vado per lavoro…”.
E io mordevo il freno ma non mollavo la presa… Finché una mattina – anche stavolta di tuoni, fulmini e saette – non decisi di seguirlo e mi gettai per la strada che avevo addosso, sui calzoncini corti, solo una giacchetta di lana: “Stavolta non ti perdo di vista!” (ci avevo provato già in precedenza, ma mi era sfuggito con quel suo passo, lungo il doppio del mio). Fu un impervio, estenuante inseguimento lungo tutta la via Sampolo, che allora era un tortuoso sterrato sentiero pieno di buche e, per di più, pioveva a dirotto e il fango mi arrivava alle caviglie. Scivolai più volte e più volte mi rialzai e, strizzato d’acqua come un pulcino, intirizzito e tremante, arrivai allo S T A D I O…
Fu come un’apparizione: il piano basso d’ingresso centrale e, dietro, gli spalti già brulicanti di folla. Per lo stupore, rimasi impalato, solo qualche attimo, quanto bastò a Vladimiro per filar via e sparire dietro uno degli ingressi tenuti d’occhio da certi “molossi” ringhiosi: “Piccirè, e tu runni voi iri, ah?”.
“Con lui, mio fratello…E’ appena entrato…”, e col braccio teso indicavo lì, davanti… ma quello, il molosso, mi diede una spintarella e: “Talè, vatinni subito a casa ca si tuttu vagnatu!”.
Scoppiai in un pianto fragoroso del quale, visti i lampi e i tuoni, nessuno dei tifosi in fila ebbe modo di rendersi conto.
Mi guardai intorno disperato e notai un crocicchio di gente al centro dell’antistadio, tutti rinserrati l’un l’altro, sotto quel diluvio, come a farsi coraggio: “Piccirè, un t’inni ‘ncarricari, aspetta ccà cu nuavutri ca poi rapunu u cancellu e trasiemu tutti!”. Era un ragazzone alto e forte, una quindicina d’anni o poco più, che mi tirò sotto il suo ombrello: “Amunì, arriparati s’on ti vo’ pigghiari ‘na primunia!”.
Passò un’ora, forse di più ma a me sembrò un’eternità…
Finché…
… Finché, tipo “Apriti Sesamo” de “Le mille e una notte”, quel cancello si aprì e, come una fiumana, il crocicchio di tifosi nei quali mi ero rintanato, scattò all’unisono, come attirato da una calamita gigante. Il picciotto dell’ombrello mi prese per mano e, un attimo dopo, mi ritrovai davanti ad una scalinata fatta di gradoni troppo alti per me. Ma ci voleva ben altro per fermarmi. Carponi li saltai uno dopo l’altro che nemmeno una scimmia e… FINALMENTE ecco LO STADIO!… Beh…più che lo stadio, quello che vedevo erano le teste dei tifosi e quello che sentivo, oltre al tuonar dei fulmini, erano i loro cori strepitosi: “Pa-ler.-mo!… Pa-ler-mo!…”.
Tirai per la giacca quel ragazzone che mi aveva trascinato fin lì e lui mi issò sulle sue spalle e fu allora che, come un abbaglio, per la prima volta vidi LA MIA MAGLIA: il suo color rosa, pur slavato dalla pioggia battente, riluceva come una stella e io, d’istinto e di cuore, quel rosa lo scelsi per la vita.
Una volta lassù in alto, chiesi: “ Sta vincendo il Palermo?”.
“No, perde 2-0… ma sta lottando come un leone…”.
“Ah, sta perdendo…”, e un singulto mi chiuse la gola .
“Carma piccirè… stamu jucannu co Torino, la squadra più forte del mondo, quindi…”.
Mi consolava il mio… benefattore ma senza riuscire a lenire la ferita che sentivo al cuore. Cominciai a urlare anch’io: “Pa-ler-mo!… Pa-ler-mo!”, e anche quella era la mia prima volta…
E il Palermo sembrò darmi ascolt… Prima accorciò con MIlani e poi, a due minuti dal termine, pareggiò con il suo bomber, Pavesi.
Cosa poteva esserne, di me, dopo quel pareggio miracoloso, se non che io diventassi “proprietà” del Palermo, dei suoi colori, della sua storia?
Ebbene, settant’anni dopo quel 2-2 con il grande Torino di Mazzola, Bacigalupo, Menti, Loik, Gabetto, Maroso (quattro mesi dopo scomparso nel disastro aereo di Superga) io son qui, più rosanero che mai, sfinito da tante troppe amarezze di questi ultimi anni del Palermo. Prima l’ennesima radiazione, poi la rinascita con Mirri & Co., la prima serie D della sua storia ultracentenaria e, con a promozione in serie C, il ritorno immediato tra i professionisti. Che mi sta propinando solo una serie insopportabile di amarezze e delusioni, fino all’ultima al “Barbera” contro la Juve Stabia… Così che, più forte che mai, mi viene voglia di dare l’addio per sempre ad un amore che sembrava senza fine…
Perché anche la fede rosanero, come tutte le cose della vita, comincia e finisce…
E poi perché – e quasi mi vergogno a confessarlo – sento per la prima volta che il peso degli anni (ottanta compiuti) sovrasta, e schiaccia perfino sotto di sé, l’amore grande grandissimo che coltivo da una vita per la maglia rosanero, la maglia della mia vita…
Ma se la vita finisce…
ADDIO PER SEMPRE, PALERMO MIO
(Forse…)
Benvenuto Caminiti
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