Friday, April 26, 2024
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Alessandro Sbrogio e “Il falò del Saraceno”

dalla Redazione Letteraria del Quotidiano l’Italiano Undici domande all’autore Alessandro Sbrogio dopo la pubblicazione del suo nuovo libro: Il falò…


dalla Redazione Letteraria del Quotidiano l’Italiano

Undici domande all’autore Alessandro Sbrogio dopo la pubblicazione del suo nuovo libro: Il falò del saraceno.


In un’afosa estate siciliana alla fine degli anni Settanta, tre amici si imbattono in una notizia del passato: la notte del 28 luglio 1949, il signor Saraceno, tornato al paese natio dopo una lunga assenza, si è dato fuoco sulla scogliera. A trent’anni di distanza, le cause del suo gesto ancora non sono state chiarite. I tre giovani decidono, quindi, di evocare l’uomo e si ritrovano a dover fare i conti con un mistero più grande di loro, che li porta a comprendere che nulla è definitivo, né l’amore, né la vita e, a volte, neppure la morte. Questa in sintesi la trama che appassionerà i suoi lettori. Queste le domande a cui ha risposto

  1. Riusciresti in poche righe a descrivere la trama del romanzo?

In un’afosa estate siciliana alla fine degli anni Settanta, tre amici si imbattono in una notizia del passato: la notte del 28 luglio 1949, il signor Saraceno, tornato al paese natio dopo una lunga assenza, si è dato fuoco sulla scogliera. A trent’anni di distanza, le cause del suo gesto ancora non sono state chiarite. I tre giovani decidono, quindi, di evocare l’uomo e si ritrovano a dover fare i conti con un mistero più grande di loro, che li porta a comprendere che nulla è definitivo, né l’amore, né la vita e, a volte, neppure la morte.

  1. La scrittura de Il falò del Saraceno è così vivida che fa pensare a un romanzo autobiografico, confermi?

In parte. Ho cercato di riportare le atmosfere e le emozioni della Sicilia della fine degli anni Settanta, ma fatti e personaggi sono quasi totalmente inventati. Per esempio, la casa sulla scogliera dove negli anni Cinquanta avvenne un suicidio esiste davvero e io la visitai molti anni dopo, da adolescente. All’inizio ci avevo scritto un racconto breve, poi mi venne in mente uno sviluppo della trama e non ho resistito. È stato però un lavoro molto lungo, iniziato circa venti anni fa, abbandonato e ripreso diverse volte; la versione definitiva risale al primo periodo di lockdown. A lavoro finito ho capito che volevo raccontare quegli anni, ma per come li percepivamo noi ragazzi siciliani, lontani dalle grandi città italiane e dall’Europa. Ci arrivava eco di grandi avvenimenti e sognavamo di poterli vivere, ma non ci era permesso, se non andando via, cosa che hanno fatto in tanti.

  • La trama narra di un’indagine buffa e improbabile, ma pur sempre un vero e proprio giallo.

È vero, volevo ci fosse qualcosa di sorprendente da scoprire, per coinvolgere il lettore divertendolo. Il sogno di ogni scrittore è togliere il sonno a chi lo legge, fare in modo che si preferisca continuare a leggere piuttosto che spegnere la luce e dormire. Qualche lettore della prima ora mi ha confermato questo effetto, spero di far venire le occhiaie a tutti gli altri. 

  • Per certi versi è anche un romanzo di formazione: pensi possa interessare anche ai giovani d’oggi?

Narro di una gioventù molto diversa da quella attuale, non esistevano i cellulari e neanche internet, dunque è certamente una storia curiosa da leggere per un giovane contemporaneo. C’è da dire che è noto l’interesse da parte di molto ragazzi di oggi per quegli anni di cambiamento, di piccole e grandi rivoluzioni, basti pensare alla venerazione che hanno per il rock di quegli anni. Ecco, sarà sicuramente interessante per chi volesse capire meglio quegli anni.

  • La Sicilia è ormai iconica in certa narrativa, tu che Sicilia hai voluto raccontare?

Proprio perché amo immensamente la mia regione d’origine non sopporto venga descritta per luoghi comuni. Ho cercato di raccontare la Sicilia, e più esattamente quel pezzo di costa orientale, per come la vivevano noi ragazzi dell’epoca, abituati quotidianamente alla smisurata bellezza che avevamo sotto gli occhi, ma anche assuefatti ai tanti problemi che credevamo fossero la normalità. Ho cercato di porre ai miei personaggi le stesse domande che ci ponevamo noi crescendo.

  • Nei tuoi due precedenti romanzi (Cadenze d’inganno – vincitore del premio Da Ponte – e Orchestra Tipica Madero) la musica era protagonista. Che ruolo ha in questo terzo romanzo?

Nei miei precedenti lavori la musica era al centro del mistero. Ne Il falò del Saraceno è forse più defilata, ma determina il ritmo su cui si dipana la trama. Più che di un cambiamento di gusto dei protagonisti, volevo raccontare l’ampliamento delle loro conoscenze culturali, motore della loro maturazione. Partono dalla musica più facile da ascoltare, come l’hard rock, ma arrivano ad apprezzare il jazz e la musica classica, senza per questo rinnegare niente. Anche la disco music dell’epoca finisce per essere interessante. E a distanza di anni lo è ancor di più.

  • I personaggi sono fortemente caratterizzati: sono reali o inventati?

In tutti i miei romanzi gioco al piccolo Dott. Frankenstein: prendo caratteristiche fisiche, comportamenti, vizi e aspetti psicologici di persone esistenti e mi diverto a “montarle” sui personaggi inventati. Dirò di più, io stesso mi “distribuisco” su tutti i personaggi e credo sia un esercizio che fanno tutti gli scrittori. Proprio per questo scrivere ha una valenza psicoanalitica: entri in contatto con parti di te che non conoscevi, dalle migliori alle peggiori.

Alessandro Sbrogio dispensa dediche ai suoi lettori
  • Nei ringraziamenti però spieghi che gli unici personaggi reali sono i musicisti Andrea Tich e Claudio Panarello: vuoi raccontarci il perché di questa scelta?

Perché proprio mentre scrivevo l’ultima versione del romanzo, Andrea Tich e Claudio Panarello mi hanno chiamato a collaborare alla loro ultima fatica discografica “Storia di Tich” (ZDB Edizioni) e ho pensato che sarebbe stato un intreccio affascinante inserirli nel romanzo: anche loro erano ragazzi all’epoca, erano andati al nord per realizzare il sogno di fare i musicisti e ci erano riusciti, incidendo per la mitica Cramps. Erano i modelli perfetti per i miei personaggi.

  • La tua scrittura è in genere ironica, ma qui si arriva quasi al goliardico, si avverte che ti sei divertito molto a scriverlo.

Mi sono divertito tantissimo. Scrivendo certe pagine non potevo fare a meno di ridere. A volte, per i miei canoni, temevo di spingere troppo sull’acceleratore, ma la storia lo imponeva. All’inizio pensavo di scrivere una storia di sesso, droga e buoni sentimenti, invece sesso c’è ne poco, droga solo leggera ma c’è tanto buon rock and roll.

  • Ricorrono però anche argomenti molto seri, per esempio l’inquinamento ambientale, e siamo ancora nel 1978.

L’inquinamento è un problema antico di Augusta, la città in cui sono cresciuto, e proprio alla fine degli anni Settanta risalgono le prime morie di pesci nel golfo, dovute agli scarichi del polo industriale. Se si considera che quelle industrie davano lavoro a moltissime persone, fra cui mio padre, si comprenderà quale corto circuito abbiano portato nelle nostre coscienze. È un argomento su cui si potrebbe scrivere molto ed è ancora oggi un problema da risolvere.

  1. Sui social ti definisci un nobile dilettante, puoi spiegarci cosa significa?
  1. Sei stato musicista per tanti anni e adesso sei anche scrittore: hai approcci differenti alle due arti?

Amo dire che la musica l’ho sposata, ma la scrittura è sempre stata l’antica fidanzata che mi è rimasta nel cuore. Così ho ripreso a frequentarla proprio quando andavo in giro a suonare per il mondo. Certo sono linguaggi totalmente diversi: la musica è meno dettagliata, dunque universale, la scrittura

Alessandro Sbrogio

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