Friday, March 29, 2024
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Morire in un istituto ai tempi del Green Pass. La storia vera di Maria: l’ultimo saluto mancato

di Romano Scaramuzzino (dalla Redazione Bergamasca del Quotidiano l’Italiano) La chiamiamo Maria, nome di fantasia per una vicenda tristemente vera….

By L'Italiano , in Cronaca Italiana Rubriche , at 07/09/2021 Tag: , ,

di Romano Scaramuzzino

(dalla Redazione Bergamasca del Quotidiano l’Italiano)

La chiamiamo Maria, nome di fantasia per una vicenda tristemente vera.

Maria,che non ha potuto salutare fisicamente (anche attraverso un vetro) per l’ultima volta,una sua cara parente in stato di coscienza, ricoverata presso un Istituto, nonostante Maria sia vaccinata con due dosi, munita, quindi, del fatidico Green Pass che permette di visitare i parenti ricoverati presso le varie strutture.

Lei è la nuora, ma è come se fosse un’altra figlia di Domenica (altro nome di fantasia, nda), della paziente anziana e malata, ricoverata in uno stato mentale lucido.

Maria, munita, naturalmente, anche di apposita mascherina, con la temperatura misurata e nella norma, non ha potuto salire quelle scale che l’avrebbero portata dalla persona amata, per l’ultimo saluto, perché la regola dice che solo un parente al giorno puo’ visitare la paziente, quindi solo la figlia. E Maria si attiene a questa direttiva, per una settimana, durante la quale parla con Domenica tramite i cellulari.

Entrambe esprimono, in questi colloqui, il desiderio di vedersi. Desiderio legittimo e umano.

Passano, però, i giorni e le condizioni di salute di Domenica peggiorano.

La figlia della paziente non abita vicino l’Istituto, quindi, si prodiga Maria, che logisticamente è più vicina a Domenica, nel cercare di starle vicina specialmente nelle urgenze.

Intanto arriva, un giorno nel quale, la figlia della persona malata, avendo solo l’applicazione scaduta ma non il green pass, non puo’ salire in reparto.

Non bastano le giuste rimostranze dei parenti di Domenica, a convincere gli operatori per un atto di umanità rispetto a un disguido tecnologico.

Perché, anche se l’applicazione non funzionava, il Green Pass era stato, comunque, ottenuto dalla figlia.

Anzi! La tensione sale.

Solo dopo un’opera di convincimento, si risolve il tutto, tranne che per Maria.

La figlia di Domenica, infatti, sale dopo aver effettuato, in modo veloce, un tampone, Maria no. Un parente al giorno, questa è la cruda regola.

Dura lex, sed lex!

Una legge che non comprende l’umanità, i sentimenti, e se ciò era comprensibile nei primi tempi della pandemia, quando questo tsunami sanitario ha travolto tutto e tutti, quando molti dei parenti non hanno potuto salutare per l’ultima volta i congiunti morti a causa del Covid, ricevendo la sola restituzione degli abiti dei defunti in una squallida busta.

Corpi, alcuni, che sono stati anche caricati su dei camion per essere cremati in posti a volte lontani e sconosciuti.

Che dolore, che trauma.

Ma tutto questo è avvenuto nel recente passato.

Ora la situazione, pare, sia migliorata, è stato istituito il Green Pass anche per queste situazioni delicate. Ma, intanto, Domenica peggiora.

Si avvicina la fine.

Con il cuore spezzato i familiari cercano di farsi forza, ma vale sempre la regola che due parenti al giorno non possono visitare i malati.

Non fanno effetto le suppliche, le recriminazioni, degli affetti più cari. Il muro di mancanza di empatia si fa sempre più spesso e duro tra alcuni operatori e i parenti, in questo Istituto.

Credo, arrivato a questo punto, che siamo tutti vittime di questo sistema. Operatori sanitari, malati e parenti.

Un sistema che non abbiamo scelto ma che c’è stato imposto e penso che anche chi lavora presso questi Istituti siano provati e logorati, ma tutto ciò non giustifica la sofferenza che altri provano.

Perché  Maria saluta Domenica per telefono e riesce a vederla solo quando è morta cerebralmente.

Ad entrambe, è stato vietato, quindi, in base a disposizioni assurde, di vedersi per l’ultima volta. Bastava uno scambio di sguardi, perché questo rimanesse nella loro memoria, ma ciò è stato loro impedito.

All’altare delle regole, dello stress degli operatori, è stato sacrificato il diritto d’amare, il diritto di essere umani.

Ma dove siamo arrivati? Cosa siamo diventati? Cosa ci ha portato ad essere questa pandemia?

Non voglio, non vogliamo fare, come si suol dire, di ogni erba un fascio.

Li ricordiamo bene, la maggior parte degli infermieri, dei medici, allo scoppio della pandemia, come si sono bene comportati. E anche se loro non volevano, li abbiamo chiamati angeli ed eroi.

E lo sono stati, ma adesso?

Adesso, non solo in questo settore specifico della lotta alla pandemia, ma anche riguardo ad altro, sempre inerente a questo problema, i toni si sono accessi. Sono diventati, a tratti volgari e duri. Senza pietà e senza umanità.

Questa notizia che apprendo e riporto, probabilmente, non sarà la sola, e questo mi rattrista anche se sono sicuro che non è la consuetudine, almeno lo spero. Anche perché non può e non potrà esserlo. A questo ci opporremo.

Cosa dire, infine, a Maria?

Le parole valgono zero in questi casi. Potrei citare la frase di un film che dice, rispondendo alla domanda ditemi come è morto, “Io vi dirò come è vissuto”.

Sì, sarebbe bello che Maria e la sua famiglia ricordassero Domenica come è vissuta, non come è morta, riportando alla mente i bei momenti passati insieme, l’amore che li ha uniti fino alla fine.

Sono cristiano, la Fede mi aiuta. Voglio pensare, quindi, che non è stato, tra Maria e Domenica un addio, ma solo un arrivederci.

Concludo esprimendo a Maria tutta la mia, e non solo mia, vicinanza e solidarietà.

Romano Scaramuzzino

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